Quanto è impari la cittadinanza delle donne nella vita lavorativa, nella vita pubblica e sociale e in quella istituzionale? Leadership femminile e gender gap sono le questioni da affrontare, consapevoli che non si tratta di aspetti marginali per lo sviluppo del paese, ma di una priorità.
In Italia le donne occupate in posizioni dirigenziali sono appena il 18%, con una crescita negli ultimi 10 anni dello 0,3%. I pochi ruoli manageriali delle donne, inoltre, fanno emergere un altro dato su cui è necessario lavorare: qui troviamo le maggiori differenze retributive di genere. Un uomo dirigente guadagna molto di più di una donna dirigente.
Eppure è dimostrato che l’equilibrio di genere fa aumentare il fatturato delle aziende e fa crescere il PIL. Le imprese con governance mista, equamente distribuita tra uomini e donne, sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi.
Nelle istituzioni, nella vita pubblica e sociale la possibilità di espressione delle capacità femminili sono ancora ridotte a pochi spazi, faticosamente raggiunti. Decisioni e strategie politiche di genere vengono ancora maturate in ambienti politici a componente maggioritaria maschile, le donne fanno ancora fatica – a 60 anni dalla legge che attribuisce loro il diritto all’elettorato attivo – ad accedere ai ruoli istituzionali.
Nonostante si stia facendo un percorso per scardinare una mentalità retrograda che vede la donna come maggiore (se non unica) addetta alla cura della casa e della famiglia, nei fatti e nelle idee questa rimane una visione fin troppo radicata – delle volte consapevolmente, altre inconsapevolmente – e ancora da superare. E’ quindi necessaria una rilettura dei ruoli tradizionali di cura, anche attraverso una redistribuzione dei carichi fuori dagli stereotipi di genere.
Oltre alla necessità di sradicare alla base queste visioni maschiliste e retrograde, ci sono anche altre strade da percorrere in questa stessa direzione, come quella di procedere ad un potenziamento dei servizi pubblici come asili nido e scuole dell’infanzia o servizi per l’assistenza agli anziani, per liberare le donne, dando loro maggiore libertà di scelta lavorativa e di carriera.
L’Italia ha messo al centro della sua presidenza del G20 il tema dell’empowerment femminile e ora deve assolutamente agganciare gli stanziamenti del NextGenerationEU per colmare il gender gap e dare una spinta decisiva di sviluppo al Paese e, attraverso la giusta rappresentanza nei ruoli chiave, dare un senso vero e tangibile alla parità di genere.
Ne parliamo insieme l’8 marzo, in diretta Facebook su @fpcgilnazionale, dalle ore 16.30.
Interverranno:
Modera Giorgio Sbordoni, giornalista di Collettiva
“L’operazione antidroga condotta a Salerno dalla Polizia di Stato, insieme al corpo della Polizia Penitenziaria Nucleo Investigativo Centrale, e che ha portato alla luce una vera e propria ‘piazza di spaccio’, come affermato dal procuratore Giuseppe Borrelli, dimostra ancora una volta il bisogno di investire sull’intero sistema penitenziario”. Ad affermarlo è la Fp Cgil Polizia Penitenziaria.
Da tempo, prosegue il sindacato, “denunciamo situazioni, insieme a diversi fattori, che influiscono negativamente sulla gestione degli istituti penitenziari italiani, specie sul regime poco organizzato della vigilanza dinamica. Riteniamo fondamentale e necessaria la costituzionale attività trattamentale, ma bisogna urgentemente investire sull’intero sistema penitenziario, per assicurare un’adeguata e giusta sicurezza per gli operatori e la collettività tutta, partendo da una sana perequazione delle vacanze organiche, seri interventi strutturali, innovazioni tecnologiche avanzate, risorse finanziarie e mezzi”.
“Solo così potremo finalmente coniugare le varie esigenze istituzionali e arginare le illegalità consumate all’interno delle carceri, situazioni lavorative stressogene e una molteplicità di annose problematiche che investono tutto il sistema”, conclude.
In questi mesi il dibattito ricorrente sui temi della giustizia è stato centrale nel confronto politico ma ha coinvolto poco la comunità del sistema giudiziario. Non è solo questione di procedure ma soprattutto di organizzazione e strumenti a disposizione di un sistema giudiziario che dia coerenza all’esercizio dell’articolo 24 della Costituzione.
Facendo un rapido bilancio sul personale possiamo rilevare alcuni dati indicativi: l’età media dei dipendenti è di 54 anni, la carenza media di organici su tutti gli uffici é del 25%, (in alcune regioni del nord, in particolare in Veneto, per alcuni uffici è del 50%).
Le procure sono supportate dalla Polizia Giudiziaria, uffici giudicanti e Giudici di Pace e stipulano convenzioni con Enti locali ed altri enti per sopperire alle carenze di personale. Nonostante il buon piano assunzionale, frutto del confronto tra amministrazione e sindacato che da anni porta avanti la battaglia per il potenziamento, ad oggi sono stati assunti circa 3.000 dipendenti per arrivare entro il 2023 a più di 8.000, che non riescono a compensare le uscite previste dalla legge Fornero e Quota 100. Paradossalmente si assume di più ma non abbastanza per compensare le uscite. Caso esemplifico è il concorso per 400 direttori: strutturato in modo da agevolare l’ingresso di magistrati onorari e avvocati e personale interno, si sono presentati meno della metà dei candidati. Dei pochi presentati la metà sono stati bocciati, sono passati quasi solo gli interni, una buona parte dei quali andrà in pensione tra pochi anni e difficilmente si sottoporranno a mobilità territoriale. Da poco si è conclusa positivamente una vertenza decennale dei precari della giustizia, ciò non può diventare la regola. Se non interviene un piano di assunzioni straordinario, con questa organizzazione, si rischia la paralisi.
Passando ad alcune proposte di riorganizzazione – ad esempio l’Ufficio del processo, progetto partito nel 2014 – occorre registrare che esso non è mai decollato per mancanza di risorse. Questa innovazione consisteva in una nuova organizzazione che doveva mettere a disposizione dei Giudici e Pm del personale qualificato, che li aiutasse nell’attività di ricerca e studio durante l’istruttoria del processo e nella fase finale, scrivere le bozze delle sentenze.
È necessario un filtro per la possibilità di appellare, anche questo è legato alla lentezza della durata dei processi.
La giustizia è mal messa anche a livello di strutture, immobili belli e di grande pregio ma inadeguati ad ospitare gli uffici pubblici. Mancano le aule per fare un numero adeguato contestuale di udienze, in più la maggioranza di esse non sono a norma e la pandemia ha messo a nudo tutti i limiti e l’impossibilita di superarli.
Molti palazzi rientrano nel patrimonio artistico e gli interventi sono da concordare con il Ministero dei Beni culturali. Ripensare l’allocazione degli uffici per avere strutture più funzionali è una priorità se vogliamo far funzionare bene ed in sicurezza la giustizia.
Sul capitolo innovazione e digitalizzazione siamo ancora troppo indietro, ancora a macchia di leopardo. Mancano prioritariamente gli strumenti infrastrutturali e materiali ma soprattutto manca la formazione sulle competenze digitali per la riconversione dei processi utilizzando al meglio la dimensione telematica.
Nel settore Penale la digitalizzazione degli atti è ancora in fase sperimentale. Tra i pochi uffici pilota ad oggi si segnalano Le Procure della Repubblica di Milano, Napoli e Genova.
La mancanza di personale da dedicare a tale attività ha aumentato le esternalizzazioni, molte sedi infatti si sono avvalse del supporto di cooperative esterne per avviare il processo di digitalizzazione. Poi, come da prassi, il progetto di implementazione della digitalizzazione non è stato rifinanziato e si è avuto un primo fermo, per ripartire in piena pandemia, con però la difficoltà di dover usare un programma progettato più di 15 anni fa che ha bisogno di essere adeguato.
Come per tutta la Pubblica amministrazione ciò che serve in modo emergenziale è il rafforzamento della rete, che, ad oggi, non regge i flussi di lavorazione appena essi si intensificano. Il parco macchine è obsoleto: computer senza sistema video e microfoni lenti.
Il collegamento da remoto spesso è impossibile, spesso il dipendente non si può collegare sia per la formazione a distanza che per l’udienza o altra attività. Le aule sono attrezzate con mezzi di fortuna, piccole telecamere che consentono la visione del collegamento al giudice e al cancelliere.
Al di là quindi della riforma del diritto e delle sue procedure, le proposte di riforma non possono essere unilaterali, fatte da soggetti che poco conoscono la realtà degli uffici. La comunità giudiziaria va coinvolta tutta. Sugli aspetti organizzativi occorre programmazione, visione e continuità. Progetti anche interessanti dal punto di vista organizzativo ma che durano una stagione non ce li possiamo più permettere. Si sprecano risorse e si perde tempo ed energie preziose, non si crea valore né per il sistema né per i lavoratori.
È necessario un nuovo modulo organizzativo, lo snellimento delle procedure, incentivare la formazione e valorizzare il personale.
Occorre riflettere sulla diarchia imperfetta della doppia dirigenza: dirigente amministrativo e magistrato.
“Siamo fortemente insoddisfatti dell’incontro avuto di recente con il Sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo. Abbiamo riscontrato una scarsa considerazione istituzionale nei confronti delle criticità dei dipendenti civili della Difesa. Tante promesse tradite, e pochi fatti”. Così Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa commentano l’incontro con il sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo.
“Avevamo confidato che, dopo l’incontro dello scorso 21 Novembre con il Ministro Lorenzo Guerini, al termine del quale sono state anche rese pubbliche le Sue dichiarazioni d’impegno assunte nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori civili della Difesa, ci trovassimo finalmente al cospetto di un approccio reale e concreto alle annose problematiche denunciate dai sindacati, con espressioni di disponibilità al cambiamento che avevano indotto nuova speranza e fiducia nei lavoratori, già fortemente delusi dalla precedente gestione politica del dicastero – spiegano i sindacati -. E invece siamo stati costretti a prendere nuovamente atto della scarsa considerazione che continua purtroppo a caratterizzare, al di là delle promesse e dei presunti buoni propositi iniziali, l’agire del Ministero della Difesa nei confronti dei propri dipendenti civili che continuano a subire un’inaccetabile disparità di trattamento rispetto alla componente militare”.
“Se dai prossimi incontri non emergeranno risposte chiare ed esaurienti rispetto agli impegni assunti nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori civili della Difesa, ci riterremo liberi di richiamare il Ministro alle proprie responsabilità, ponendo in atto ogni forma di lotta e mobilitazione ritenuta utile a sensibilizzare l’opinione pubblica”, concludono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa.
“Hanno ascoltato le nostre rivendicazioni e promesso il massimo impegno nel dare risposte ai Vigili del Fuoco per maggiori risorse, un salario adeguato e tutele su infortuni e malattia professionale”. La Fp Cgil Vigili del Fuoco fa sapere l’esito dell’incontro avvenuto questa mattina a Roma tra il Presidente della Camera, Roberto Fico, e una delegazione sindacale, dopo la mobilitazione unitaria promossa da Fp Cgil Vigili del Fuoco, Fns Cisl e Uil Pa Vigili del Fuoco, in piazza Montecitorio, per rivendicare interventi a favore dei componenti del Corpo sui diritti e sul salario. Mobilitazione che proseguirà con lo sciopero del 21 novembre.
“Uno spiraglio da parte del Presidente della Camera è stato aperto – fa sapere Mauro Giulianella, Coordinatore nazionale Fp Cgil Vigili del Fuoco -. Lui stesso ha ritenuto le nostre rivendicazioni legittime e indiscutibili. Per questo si farà promotore delle nostre richieste, in particolar modo sulle risorse da destinare alla valorizzazione retributiva e previdenziale del Corpo e per inserire la norma che riconosca anche ai Vigili del Fuoco la possibilità di avvalersi del sistema Inail”.
Prosegue Giulianella: “Siamo convinti che la cittadinanza sia dalla nostra parte, dalla parte di un Corpo che ha sempre dimostrato vicinanza, ogni giorno, 24 ore su 24, su tutto il territorio nazionale. Ora il governo faccia la sua parte. È finito il tempo della propaganda arrogante e pretestuosa vissuta con il precedente governo. Servono investimenti concreti e maggiori tutele e diritti. Per questo, in attesa di risposte, proseguiremo la nostra mobilitazione a partire dallo sciopero del 21 novembre”, conclude.
“Il personale medico precario ha assicurato nel corso degli ultimi anni il mantenimento dei livelli di assistenza, in particolare della rete dell’emergenza e dell’urgenza territoriale, maturando competenze oggi indispensabili al servizio sanitario nazionale. Proprio per questo crediamo sia indispensabile mettere in campo quelle misure che, nel rispetto dei principi di meritocrazia, diano certezze ai medici precari attraverso procedure di stabilizzazione già applicate in altri ambiti del Ssn grazie alla Legge Madia”.
“La stabilizzazione consentirebbe da una parte di guardare con più tranquillità al futuro del Ssn e dall’altra sarebbe il giusto riconoscimento per i medici che con impegno e professionalità garantiscono l’assistenza della cittadinanza” conclude Filippi.
“Pensioni: adesso risposte concrete”. La Cgil rilancia la sua iniziativa sul tema delle pensioni. In coerenza con quanto fatto nella scorsa legislatura, infatti, la Cgil chiede al Governo e al Parlamento delle risposte concrete sul tema delle pensioni, nella direzione indicata dalla Piattaforma sindacale unitaria, discussa e sostenuta dai lavoratori e dai pensionati, con una mobilitazione a cui va data continuità.
In questa linea ha promosso il 10 luglio a Roma una iniziativa. Per la Cgil è infatti necessario che il Governo riapra il confronto con il sindacato per affrontare i punti indicati nella Piattaforma unitaria, per definire un nuovo sistema previdenziale sostenibile socialmente, che sappia tenere insieme tutte le generazioni, essere equo e incardinato sul pilastro pubblico.
“In una fase così delicata – sostiene la Cgil – il tema della previdenza assume una rilevanza particolare. Per questo motivo, in coerenza con l’iniziativa avviata dal sindacato nella precedente legislatura, anche in questa fase chiediamo ai nostri interlocutori di affrontare il tema di una vera riforma previdenziale, che superi strutturalmente l’impianto complessivo della Legge Fornero, sulla base della Piattaforma sindacale unitaria: ‘Riformare le pensioni dare lavoro ai giovani’, che rimane per noi la proposta su cui confrontarci”.
Di seguito i materiali dell’iniziativa del 10 luglio:
Relazione introduttiva (audio RadioArticolo1)
Interventi (audio RadioArticolo1)
Conclusioni Camusso (audio RadioArticolo1)
“Restart – Reddito di inclusione: la misura necessaria”. È il titolo dell’iniziativa promossa dalla Funzione Pubblica Cgil e in programma mercoledì 11 luglio a Roma presso il Centro congressi Frentani in via dei Frentani dalle ore 9.30 alle ore 13,30. Al centro il tema del reddito di inclusione e una sua valutazione alla luce dei primi dati disponibili che mettono in evidenza alcuni elementi significativi: le infrastrutture necessarie alla sua attuazione, le ricadute sul personale e sull’organizzazione dei servizi, le profonde differenze territoriali, l’insufficienza delle risorse umane e materiali dedicate. Partendo così dal confronto tra le diverse misure di protezione sociale adottate in Europa, l’iniziativa della Fp Cgil fornirà elementi di conoscenza e di riflessione sul tema: contrasto alla povertà e all’esclusione sociale.
Il programma dell’iniziativa, che sarà coordinata da Lorella Brusa (Politiche per l’inclusione Fp Cgil), vedrà interventi su: ‘Il Reddito di inclusione in Italia’, a cura di Giordana Pallone (Dipartimento Welfare Cgil); ‘Europa: sistemi di protezione sociale a confronto’, a cura di Salvatore Marra (Politiche Europee ed Internazionali Cgil) e Enzo Bernardo (Responsabile Politiche Internazionali Fp Cgil); ‘Il Reddito di inclusione e lotta alla povertà’, a cura di Michele Raitano (professore associato Politica Economica – Sapienza Università Roma); ‘Le infrastrutture necessarie’, a cura di Alessandro Purificato (Capo Area Funzioni Locali Fp Cgil); ‘L’esperienza dei Servizi Sociali Comunali e dei Centri per l’impiego’, a cura di Laura Paradiso (Assistente Sociale Rsu Comune di Roma) e di Ilaria Raimondi (Operatrice Centro per l’impiego Riccione). A seguire il dibattito e, infine, le conclusioni dei lavori affidate alla segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino.
Numero di pensioni – Si riscontra un aumento dello 0,7%, passando da 2.843.256 pensioni nel 2017 a 2.864.050 pensioni vigenti al 1° gennaio 2018.
Ripartizione per cassa – Il 59% delle pensioni è destinato agli Statali (le pensioni sono erogate dalla Cassa Trattamenti Pensionistici Statali), il 37,8% agli Enti Locali (attraverso la Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali). Le altre casse rappresentano appena il 3% circa del totale.
Genere – Il 58,6% dei trattamenti pensionistici è erogato alle donne.
Categoria – La fetta più consistente di pensioni, pari al 56,8%, sono quelle per anzianità o pensionamento anticipato, il 13,4% sono invece le pensioni di vecchiaia, il 7,9% quelle di inabilità e il 21,8% è invece costituito dalle pensioni erogate ai ‘superstiti’.
Le categorie ci dicono molto sull’andamento delle pensioni in Italia nel corso di questi ultimi anni. Infatti, confrontando i dati del 2018 con le pensioni liquidate nel 2017, si evidenzia che il numero di pensioni per anzianità o anticipate è in aumento (nel 2017 rappresentavano il 51,6% del totale, a fronte del 56,8% del 2018). Ma, nel contempo, sono nettamente diminuite le pensioni ai superstiti (passando dal 30,5% del 2017 al 21,8% del 2018) e invece aumentate quelle per vecchiaia o inabilità (dal 12% al 21,3%).
Area geografica – Il maggior numero di prestazioni pensionistiche è concentrato al Nord (40,9%), a seguire il Sud e le Isole (con il 36%), per finire con il Centro Italia (con il 23% delle prestazioni).
Le quattro regioni italiane che hanno il maggior numero di pensioni pubbliche sono la Lombardia (con l’11,8% del totale), il Lazio (con l’11,6%), la Campania (9,2%) e la Sicilia (8,3%). Le regioni, al contrario, con il minor numero di pensioni sono, per prima, la Valle d’Aosta (con il solo 0,2% del totale di prestazioni pensionistiche in Italia), a seguire il Molise (con lo 0,6%), infine la Basilicata (con l’1% del totale).
A fronte di questa fotografia scattata dall’Inps sullo stato delle prestazioni pensionistiche in Italia, ancora in molti lamentano che i dipendenti pubblici, prima dei privati e con molta più facilità, accedono alla pensione, innescando il solito refrain del posto fisso, delle baby pensioni e così via. Per questo è doveroso fare delle precisazioni.
È importante partire da una considerazione, ovvero che le baby pensioni furono introdotte in un contesto sociale completamente diverso da quello attuale: negli anni ‘70 si viveva un momento di forte espansione economica e lo strumento delle baby pensioni fu introdotto a tutela della famiglia e per la riduzione degli organici.
Inoltre va tenuto in considerazione il fatto che allora la spesa non incideva sostanzialmente sul Pil, in quanto era ‘spesa corrente’ a carico del Tesoro, non esistendo un’apposita cassa pensione per gli statali (che fu istituita soltanto nel 1996). Per non parlare delle casse dei dipendenti degli enti locali, della sanità e la Cassa pensione dei medici ospedalieri, che avevano addirittura dei surplus di bilancio.
Fatte queste doverose premesse, torniamo ad analizzare il fenomeno oggi e possiamo affermare, senza alcun dubbio, che le baby pensioni sono ormai in via di estinzione. Infatti, la categoria di lavoratori che vi rientra è costituita ormai di pochi superstiti. Basti pensare si è passati dal 30,5% di superstiti del 2017, al 21,8% del 2018 (- 8,7% in un solo anno).
Per rispondere alle lamentele, del tutto infondate, di divario nel trattamento pensionistico tra pubblico e privato, è bene ricordare che con l’introduzione del precariato nella pubblica amministrazione i due settori si sono molto avvicinati.
Inoltre, in attuazione della sentenza della Corte di Giustizia delle comunità europee del 2008 sulla disparità di trattamento fra uomini e donne del settore pubblico sull’età pensionabile, dal 2012 le donne sono passate da un età di servizio fissata a 60 anni ai 65 anni.
Per concludere, con la legge Fornero il requisito anagrafico di età è stato fissati a 66 anni, poi a 66,7 e, dal 2019, si arriverà ai 67 anni.
Un divario quindi che sembra essersi colmato negli anni, portando le due categorie di dipendenti (pubblici e privati) ad avvicinarsi sempre di più, rendendo ancor più infondate accuse e lamentele.
Non solo il quadro del pensionamento nel pubblico non si discosta poi tanto da quello privato, ma, ad oggi, come Funzione Pubblica Cgil, non possiamo neanche ritenerci soddisfatti dello stato delle cose. Sono infatti scarsi i risultati ottenuti per la flessibilità in uscita (che ha trovato un punto focale nell’ape sociale).
La disparità previdenziale di genere è ancora molto accentuata.
Infine sono problematici i tempi di pagamento della pensione: i dipendenti pubblici, nei casi ordinari, vedono il primo assegno dopo 3 o 4 mesi. E in questo lasso temporale non possono in alcun modo fare affidamento a liquidazione, tfs o tfr che sia. Questi infatti, ai sensi di legge, saranno pagati solo dopo 15 mesi e, in caso di ape sociale, da 2 a persino 4 anni dopo.
Un servizio di dirette Facebook, promosso dalla Funzione Pubblica Cgil per le lavoratrici e i lavoratori della Sanità, con degli esperti pronti, di volta in volta, ad affrontare un tema sul mondo del lavoro e della Sanità, e a rispondere alle domande degli utenti.
Il tema di questo appuntamento è il superamento del precariato in Sanità. Quali sono le norme che lo permettono? E quali i requisiti per accedervi? A tutte queste domande risponderanno, questa settimana, Francesca De Rugeriis e Antonio Marchini della Funzione Pubblica Cgil Nazionale.
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