COMUNICATO
Il
suicidio di un ragazzo di 22 anni nel carcere di Regina
Coeli e il diritto alla salute e alle cure dei malati di
mente.
Il
suicidio di un ragazzo di 22 anni, da tempo sofferente, in
una cella del carcere a Regina Coeli ci obbliga a
interrogarci su come sia possibile evitare si ripetano
simili tragedie. La madre del ragazzo ha inviato ad Antigone
l’ultima lettera che suo figlio aveva spedito al
fratello, lo scorso 16 febbraio, affinché fosse resa
pubblica: lo stato di sofferenza traspare evidente. I fatti
finora conosciuti ci dicono che era scappato da una Rems nel
Lazio, dove scontava una misura di sicurezza detentiva
provvisoria; una volta rintracciato dai carabinieri, il
magistrato ha deciso per la custodia cautelare in carcere.
Nonostante i reati contestati fossero di lieve entità.
C’è
subito da chiedersi: perché non è stata concessa una
misura cautelare non detentiva? Quindi alternativa al
carcere e anche alla Rems, onde rispondere meglio
alle esigenze, anche di cura, del giovane?
Abbiamo
già detto che le persone, ancor più così giovani, con
problematiche di questo tipo, devono essere affidate
al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi delle
ASL territoriali e non messe dietro le sbarre di una cella e
nemmeno necessariamente finire in Rems, che è una delle
soluzioni non l’unica.
Infatti,
l’obiettivo della legge 81/2014 sul superamento degli Opg è
quello di far prevalere, per la cura e la riabilitazione
delle persone, progetti individuali con misure non
detentive, nel solco delle sentenze della Corte
Costituzionale, la n. 253 del 2003 e la n.367 del 2004,
ispirate esplicitamente dalla legge 180 (Riforma Basaglia).
Le Rems quindi devono essere l’extrema ratio e non, come sta
accedendo, il nuovo contenitore al posto degli Opg o peggio
l’alternativa al carcere. Così si stravolge la funzione
delle Rems (e le si travolgono visti i numeri delle persone
potenzialmente coinvolte), che non sarà più “residuale”:
cioè destinata ai pochi casi in cui le misure di sicurezza
alternative alla detenzione si ritiene non possano essere
assolutamente praticabili.
Questa
tragedia ripropone il tema del diritto alle cure dei
detenuti troppo spesso negato dalle drammatiche condizioni
delle carceri. La prima risposta è rafforzare e
riqualificare i programmi di tutela della salute mentale in
carcere da parte delle Asl, mentre il Dap deve istituire,
senza ulteriori ritardi, le sezioni di Osservazione
psichiatrica e le previste articolazioni psichiatriche, che
non possono essere solo celle con posti letto, servono spazi
adeguati per le attività di cura e riabilitazione.
Ma
soprattutto si devono potenziare le misure alternative
alla detenzione.
Tanto più per i reati minori. Il diritto alla salute e alle
cure dei detenuti non si risolve inviandoli nelle Rems
aumentandone i posti. Se moltiplichiamo strutture sanitarie
di tipo detentivo dedicate solo ai malati di mente,
riprodurremmo all’infinito la logica manicomiale. Piuttosto
bisogna potenziare i servizi di salute mentale e del welfare
territoriale. Infine, occorre abolire la misura di sicurezza
speciale destinata solo ai malati di mente autori di reato:
l’ultimo muro del manicomio da abbattere.
p.
il Comitato nazionale stopPG
Stefano
Cecconi, Patrizio Gonnella, Giovanna Del Giudice, Denise
Amerini