Il nostro viaggio comincia dal centro della città, l’ospedale delle Molinette che fa parte dell’azienda Città della Salute. Una struttura grande, la più grande della regione, l’ospedale “classico” per come siamo abituati a pensarlo. Una struttura vecchia, che dovrebbe essere oggetto di importanti e improrogabili interventi di manutenzione a breve.
Cominciamo il nostro “tour” visitando e parlando con chi lavora in una medicina, uno delle tipologie di reparto più pesanti in assoluto. Qui le lavoratrici e i lavoratori che incontriamo confermano il peso della loro condizione lavorativa.
“Oltretutto, il nostro reparto è meno alle cronache dei pronto soccorso, ma non è meno duro e complicato”. Alla domanda: “cosa vi servirebbe, per lavorare meglio, per stare meglio?” rispondono tutt3: “Personale, per abbassare i carichi di lavoro e ricominciare ad avere una vita”. Ma anche: “Abbiamo stipendi troppo bassi. Dopo le promesse del Covid siamo tornati nel dimenticatoio. Neanche le ferie riusciamo a fare!”.
Il secondo passaggio della giornata è all’ospedale Martini, dove scambiamo qualche opinione con un gruppo di operatori di ortopedia. Vengo presentato alle lavoratrici e i lavoratori come “il segretario che sta al tavolo del contratto nazionale” e io, di conseguenza, mi aspetto interventi, domande, critiche che vadano su quel terreno. Invece no. I primi due interventi sono tutti focalizzati sulle difficoltà che incontrano nell’erogare le prestazioni, sulla preoccupazione per la tenuta del servizio sanitario nazionale. Glielo faccio notare, che avere a disposizione uno che sta al tavolo nazionale e non chiedere soldi, ma di migliorare il servizio, non è una cosa banale. E solo a quel punto mi ricordano che bisogna mettere mano alle indennità e farli andare in pensione un po’ prima…
È già sera quando arriviamo all’Ospedale di Rivoli, nella prima cintura di Torino: c’è meno via vai di persone rispetto alle tappe precedenti, gli ambulatori sono chiusi, ma passata la prima impressione si nota subito come in realtà i ritmi siano anche qui frenetici. Visitiamo il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura ed è l’occasione per fare un focus sulla dimensione della salute mentale, la grande dimenticata, insieme alla prevenzione, del nostro SSN. E anche qui la voglia di parlare delle lavoratrici e dei lavoratori ci porta a fermarci, su una panchina in un CUP vuoto, a quest’ora. Alla fine di questa prima giornata ce ne andiamo con il sospetto che questa idea di “ridurre le distanze” funzioni parecchio. Certamente funziona per noi.
La mattina del secondo giorno comincia in via San Secondo dove visitiamo una struttura che ospita uffici amministrativi; è un punto nel quale abbiamo la possibilità di incontrare praticamente tutto il personale in una relazione uno a uno, con una modalità che per chi lavora è un po’ inusuale.
Parliamo di precarietà, perché molti di loro sono stati stabilizzati ma ancora tanti aspettano di avere la chance di entrare a tempo indeterminato. Parliamo di cosa voglia dire la precarietà, che non è mai solo la tipologia di un contratto ma diventa condizione esistenziale, impossibilità di pianificare la propria vita. Sono per di più giovani e giovanissimi, protagonisti di un ricambio generazionale importante e che non andrebbe sprecato.
Ce lo racconta Marta, una giovane legale che lavora qui e che oltre a raccontarci il suo percorso, i suoi titoli, rivendica anche l’importanza del lavoro degli amministrativi per fare funzionare la sanità:
“Durante il Covid non ci siamo mai fermati, non eravamo nei reparti come i colleghi ma anche noi eravamo in servizio ogni giorno, senza orari, inventandoci un lavoro da remoto senza alcuna esperienza precedente, in molti casi assunti in quei momenti per far fronte alle necessità di acquisti urgentissimi, assunzioni, tutto quello che serviva. Ora siamo qui, per portare avanti un lavoro ugualmente importante, alcuni a tempo indeterminato, come me, altri ancora precari.”
Al Poliambulatorio di Via Pacchiotti oltre alle bandiere della FP CGIL e alle delegate e i delegati, troviamo ad accoglierci anche un paio di funzionari della Digos con i quali scambiamo due battute prima di farci reciprocamente gli auguri di buon lavoro. Poi Ivana ci “prende in carico” raccontandoci le difficoltà di questo poliambulatorio destinato a diventare una casa di comunità con le risorse del PNRR. Tutte le volte che si chiude, si modifica o si sposta un servizio è naturale raccogliere le difficoltà delle cittadine e dei cittadini. Si tendono a dimenticare le ricadute su chi in quei servizi lavora.
Il Poliambulatorio di Venaria Reale è una struttura grande, ristrutturata di recente, che oltre a Venaria serve una porzione importante di territorio. Una struttura bella, lontana dall’aspetto un po’ decadente che hanno altri plessi che aspettano ristrutturazioni da tempo.
Massimiliano, mentre ci accompagna nella visita, ci racconta una situazione paradigmatica, purtroppo non inusuale:
“La struttura è stata recentemente oggetto di investimenti importanti, abbiamo nuovi macchinari per la diagnostica, ma purtroppo come personale siamo troppo pochi per farla funzionare a pieno regime…
E poi parliamo di liste di attesa e di aumento di spesa nel privato. Il rischio, che è già realtà, è che le persone che possono pagare, per reagire alle liste di attesa vadano nei poliambulatori privati, quando qui basterebbe assumere.
VIDEO LAVORATRICE
Il viaggio per arrivare all’Ospedale di Susa è lungo quanto basta per farti capire cosa voglia dire “ospedale di frontiera”. Una struttura fondamentale per la popolazione della valle, un riferimento quasi identitario per la comunità. Angela, che ci accoglie e ci fa da guida, non lascia spazio a dubbi:
“Qui ci conosciamo e ci conoscono tutti; siamo orgogliosi di lavorare nell’ospedale anche se le difficoltà sono moltissime. È sempre più difficile trovare persone che da fuori vogliono venire a lavorare qua”.
Difficoltà, ma anche voglia di lottare e rivendicare che ci conferma Luca, un giovane medico ospedaliero:
“Sarebbe facile mollare e chiedere di essere trasferiti da qualche altra parte, perché persino l’azienda dà l’idea di scordarsi di noi anche quando ci sono da premiare progetti, ad esempio. Però non vogliamo farlo, proviamo anche a sfidare la politica per cercare di continuare a dare le risposte che la gente si aspetta da noi.”