Min. Giustizia, progressioni economiche: non c’è certezza, non firmiamo.
Nell’incontro di oggi si è consumata la trattativa farsa del Ministero della Giustizia sulle progressioni economiche del personale. A distanza di tre mesi, infatti, dall’incontro dell’11 aprile scorso, l’amministrazione si è limitata alla sola verifica di chi era disponibile alla firma del testo proposto allora senza dare alcuna risposta alle osservazioni fatte dalle organizzazioni sindacali.
Come Funzione Pubblica CGIL abbiamo ribadito i motivi per cui eravamo e rimaniamo in disaccordo.
Prevedere adesso progressioni economiche che avranno comunque effetti successivi alla entrata in vigore del nuovo CCNL, con il nuovo sistema di classificazione, senza tenere conto di come il personale sarà reinquadrato automaticamente per effetto del nuovo contratto rappresenta da un lato una modalità per esporre i lavoratori al rischio di vedere oggi un beneficio economico precludendosi la possibilità di ottenerne uno migliore per i prossimi sei/sette anni e, dall’altro, un ulteriore aggravio di procedure che inevitabilmente saranno fatte oggetto di rivisitazioni se non di veri e propri contenziosi. Per questo avevamo proposto di definire un accordo complessivo che sancisse tempi e procedure certe per il definitivo e celere esaurimento delle procedure stabilite dall’accordo del 26 aprile 2017 (21 quater), insieme alla definizione dei tempi di avvio e possibilmente di chiusura della contrattazione integrativa per la definizione delle famiglie professionali propedeutiche all’applicazione della norma di prima applicazione (art. 18 del CCNL 2019/2021 Funzioni Centrali) che dà la possibilità al personale oggi inquadrato in prima e seconda area di transitare alle nuove aree superiori di Assistenti e Funzionari. Il CCNL, infatti, permette di aggiungere nuove risorse, nella misura dello 0,55 per cento del monte salari 2018, a quelle già disponibili al ministero per le procedure del 21 quater che, ricordiamolo, permettono progressioni giuridiche per diverse figure professionali e non solo per cancellieri e ufficiali giudiziari (ausiliari, informatici, contabili, direttori, eccetera), e inevitabilmente la concreta applicazione di entrambe le procedure ridisegneranno gli addensamenti di personale nelle aree e nelle posizioni economiche.
Alla luce di quanto evidenziato abbiamo provato a far riflettere l’amministrazione sulla necessità di anticipare i tempi delle progressioni giuridiche rispetto a quelle economiche, sapendo che il CCNL comunque prevede il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento dal prossimo primo novembre (“il giorno 1 del mese successivo ad un periodo dilatorio pari a cinque mesi dalla sottoscrizione definitiva del presente CCNL”, come recita l’art. 18, comma 1 del CCNL), un termine entro cui l’amministrazione non ha garantito le decorrenze delle progressioni economiche.
Purtroppo, l’amministrazione ha proposto il testo di aprile con la modalità “prendere o lasciare”, evidentemente forte del consenso incondizionato già ottenuto da altri non volendo noi immaginare una innata arroganza su materia che è oggetto di contrattazione e non di semplice o banale informativa o confronto. Se avessero avuto il buon senso di approfondire il merito delle nostre proposte avrebbero potuto cogliere l’opportunità di evitare l’ennesimo rischio di questa amministrazione, già buon’ultima nel panorama ministeriale, di rinviare sine die l’applicazione delle norme di reinquadramento stabilite dal nuovo contratto. Per esempio, avevamo proposto di inserire una clausola all’accordo sulle progressioni economiche che permettesse di fare più progressioni economiche nelle fasce economiche di maggiore addensamento, favorendo le lavoratrici e i lavoratori in prossimità di pensionamento e quelle che, anche sul piano economico, ne avrebbero un sicuro vantaggio rispetto ai nuovi differenziali stipendiali, prescindendo quindi da tetti imposti aprioristicamente. Infine, resta il tema di fondo. Perché la fretta di chiudere un accordo sulle progressioni economiche senza accettare nemmeno di dare date certe sulla definitiva e piena applicazione dell’accordo del 2017? La fretta è forse dovuta ai tempi della politica con le elezioni alle porte (la legislatura termina agli inizi del 2023), come ha ricordato qualche sindacalista molto ascoltato?
Sia chiaro che la responsabilità dei ritardi nell’applicazione di quell’accordo è unicamente dell’amministrazione. Quell’accordo si rese necessario nel 2017 per accordi sbagliati del passato (2010) che noi non firmammo e che hanno consegnato l’amministrazione della giustizia al fanalino di coda nel panorama dei ministeri. I ritardi successivi non sono giustificabili essendo le risorse del 21 quater nella disponibilità dell’amministrazione già da anni.
A cinque anni di distanza, oggi la piena e corretta applicazione dell’accordo 2017 permetterebbe di aumentare le disponibilità di progressioni economiche per tutto il personale del Ministero della Giustizia e non solo di un unico Dipartimento. Ritardare oltre l’applicazione di quell’accordo avrà il solo effetto di rendere incerti adesso anche i tempi dell’applicazione del nuovo CCNL e del relativo passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento per il personale e dei relativi benefici economici e giuridici.
Ritardi che non potremo tollerare e che non saranno differenziabili tra i diversi dipartimenti.
La stessa decisione di attivare tavoli tecnici per la definizione del prossimo contratto collettivo integrativo – uno congiunto di tutti e quattro i dipartimenti, per l’applicazione di welfare contrattuale, lavoro agile, orari di lavoro, diritto allo studio; altri tavoli distinti per singolo dipartimento (Archivi Notarili, DAP, DGMC, DOG) su individuazione famiglie professionali e relative competenze ed effetti economici del passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento – se da un lato può rispondere oggettivamente alla necessità di rendere più veloce il confronto affrontando in consessi omogenei discussioni di merito più approfondito, dall’altro, presentato come la necessità
di permettere al DOG di fare una analisi differente sugli effetti del nuovo ordinamento alla luce dell’applicazione del “21 quater”, espone al rischio che ancora una volta il contratto collettivo possa applicarsi a velocità differenti tra i dipartimenti. Per questo abbiamo ribadito la necessità di avere innanzitutto adeguate informazioni sul personale distinto per dipartimenti, servizi, anzianità di servizio, addensamenti nelle posizioni di inquadramento, sia economico sia giuridico, ma anche la esatta conoscenza delle risorse disponibili pari allo 0,55 per cento del monte salari 2018 complessivo di amministrazione. Informazioni che potrebbero essere inviate alle organizzazioni sindacali nel giro di pochi giorni e così almeno utilizzare utilmente il tempo che l’amministrazione mette da qui alla effettiva convocazione in settembre dei tavoli proposti.
Ecco, ci aspetteremmo che chi guida l’amministrazione pro tempore (tecnici e politici), risponda come deve ai propri compiti fino all’ultimo giorno in cui presta il proprio servizio e non facendo i calcoli su cosa è meglio e cosa può in ragione delle proprie sorti personali. Per questo abbiamo ribadito anche la necessità che con il contratto collettivo integrativo di amministrazione e oltre questo si affrontino questioni annose e recenti del ministero quali, solo a titolo di esempio, la necessità di investimenti dedicati alle strutture, alle tecnologie disponibili e l’informatizzazione, la valorizzazione di tutto il personale, la messa a regime dell’Ufficio per il Processo oltre i tempi del PNRR, la configurazione e organizzazione del nuovo dipartimento sull’informatica e statistica, un nuovo e più avanzato piano dei fabbisogni del personale. Va fatto adesso perché l’amministrazione tutta è al collasso. Ogni rinvio a tempi successivi, pur richiesto da qualche organizzazione, sarebbe colpevole verso i lavoratori e il Paese.
Roma, 11 luglio 2022