Roma, li 22 aprile 2021
Al Capo D.A.P.
pres. dott. Bernardo PETRALIA
Roma
Al Vice Capo D.A.P.
cons. dott. Roberto TARTAGLIA
Roma
Al D.G.P.R.
D.A.P.
dott. Massimo PARISI
Roma
E, p.c.
Alla Direttrice Ufficio IV Relazioni Sindacali D A P
dott.ssa Ida DEL GROSSO
Roma
Oggetto : personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Sistema disciplinare ””.
OSSERVAZIONI FP CGIL
Egregi,
la legge di riforma della Polizia Penitenziaria, 395/90 ed i suoi decreti applicativi, è stata una delle ultime riforme di un periodo che ha visto profondi cambiamenti nell’organizzazione dello Stato delle Pubbliche Amministrazioni ed in particolare delle Forze di Polizia, in senso democratico ed in uno spirito di abbandono degli ordinamenti militari propri dei regimi e il proiettare dei Corpi di Polizia, in ossequio ad uno spirito europeistico verso un ordinamento civile.
In tale ottica di rinnovazione democratica, la nascita del Corpo di Polizia Penitenziaria adeguava il proprio ordinamento e regolamenti al nuovo principio, improntato finalmente non solo sui doveri, impostazione tipica militare, ma sui diritti e doveri, del proprio personale il quale finalmente si vedeva riconosciuto il titolo “di Lavoratori”.
Tra il sistema dei diritti e dei doveri particolare attenzione veniva posta alla riscrittura e cristallizzazione del sistema disciplinare che fino a quel momento non garantiva alcuna tutela per i lavoratori né un sostanziale diritto di difesa e ancor meno di pregiudizio, obbiettività e terzietà nel giudizio del procedimento, tantomeno un sano e giusto contraddittorio nelle varie fasi.
Il D.lg. 449/92, in materia racchiude in sé tutta una serie di previsioni che vanno in tale ottica, ma in fase applicativa e nelle procedure ed interpretazioni della periferia e delle commissioni di disciplina la portata della innovativa norma del settore nei fatti è stata in buona parte disattesa, irrigidita ed ignorata per alcuni versi.
I principi fondamentali enunciati nell’impianto normativo erano: il diritto di difesa, la terzietà di coloro che erano chiamati al giudizio, la garanzia delle procedure formali nel procedimento stesso che vedeva nelle sue previsioni normative ed in particolare attraverso il rinvio dell’articolo 24, 5° comma del 449/92 e per quanto il decreto legislativo 449/92, non disciplinava in modo specifico in applicazione del testo unico per i dipendenti civili dello stato D.P.R 3/57, in particolare titolo VII (art. dal 78 al 123), non più applicabile per i pubblici dipendenti perché le previsioni sono state riportate nelle ipotesi contrattuali ma applicabili per la Polizia Penitenziaria, perché la materia non ha una regolamentazione contrattuale.
Conseguenza della nuova norma, anche disciplinata e spiegata da alcune note e circolari emanate dal DAP, nei tempi immediatamente successivi, era l’attenersi alle procedure di rilevazione delle infrazioni di esclusiva competenza del superiore che ne rileva la commissione e quindi l’abbandono o meglio il divieto di ricorrere alla vecchia prassi “dell’ordine di redigere rapporto disciplinare nei confronti di…. “ spesso attuata dai comandanti e direttori; della rilevazione di addebiti disciplinari in tempi successivi alla conoscenza dei fatti, spesso anche di settimane e mesi; dalla modalità di redazione del rapporto, a pena di nullità, che deve essere esclusivamente un atto diretto all’autorità competente ad infliggere la sanzione e non deve riportare alcuna altra considerazione, tipicizzazione o proposta di sanzione e non deve contenere o essere accompagnata da alcuna considerazione valutazione o commento del Comandante del Reparto; non deve essere inserita in raccolte di istituto (registri disciplinari) onde evitare “schedari di pregiudizi” atteso che il rilievo può portare, come porta spesso ad una sanzione minore o addirittura ad un proscioglimento.
Cosa non ultima, che la fase istruttoria e decisionale deve essere effettuata da persona diversa dai comandanti e direttori degli istituti ove l’incolpato effettua servizio ad eccezione della sola censura, la quale per la natura blanda della sanzione, la competenza istruttoria e decisionale è di competenza esclusiva del solo direttore dell’istituto.
Infine sottolineava l’importanza delle modalità di contestazione e i tempi massimo del procedimento ed in particolare di quelle previsioni perentorie dei tempi massimi del procedimento o dei tempi imposti dall’articolo 120 del citato T.U. 3/57, tempi spesso ignorati e seppur eccepiti rinviati ad eventuali e dispendiosi ricorsi ai TAR o al Capo dello Stato.
Previsioni queste, poste dal legislatore e dallo spirito della riforma a garanzia dei lavoratori rispetto ai punti di caduta che il vecchio sistema aveva, ove la pressione dei comandanti sul procedimento disciplinare era un grave punto di caduta, figura, quella del comandante, a cui il nuovo impianto disciplinare sottrae ogni possibilità di intromissione, gestione o interferenza a pena di decadenza.
In tutta contrarietà rileviamo che, sul territorio, questi principi e disposizioni sono molto spesso disattesi: i rapporti vengono spesso ordinati dai comandanti o direttori, di prassi addirittura con ordini
scritti, contengono o sono accompagnati da valutazioni e considerazioni di coloro che lo hanno redatto, dei Comandanti e quando di competenza dei Provveditori spesso anche dai direttori che si lasciano a considerazioni e valutazioni non dovute. Spesso e prima ancora dell’avvio dell’azione disciplinare che parte con la contestazione degli addebiti da parte dell’autorità competente ad infliggere la sanzione, sono accompagnati da atti di vera e propria istruttoria del tutto illegittimi fatti dai comandanti, raccolti in un registro disciplinari “schedatura” di cui è come già detto, ne è stato vietato l’uso con specifiche disposizioni, ignorati nei tempi e modi di svolgimento delle procedure, così come previste dal D.Lg 449/92 e dal D.P.R. 3/57.
Un quadro possibilmente compromesso, disomogeneo e spesso lasciato alla personale interpretazione di Comandanti, Direttori e Provveditori, che ci induce a dover richiede un intervento di opportuna rivisitazione della materia anche previo indagine di verifica sul territorio di quanto anzidetto, avviando così una serie di lavori e tavoli tecnici, con relativa discussione con le Parti sociali, al fine di restituire la sacrosanta dignità e tutela al lavoratore eventualmente coinvolto in un’inchiesta disciplinare, a garanzia dei principi fondamentali enunciati nei vari orientamenti giurisprudenziali e ricorsi stragiudiziali.
Con sensi di distinta stima e gratitudine
Il Coordinatore Nazionale
FP CGIL Polizia Penitenziaria
Stefano BRANCHI