In questi mesi il dibattito ricorrente sui temi della giustizia è stato centrale nel confronto politico ma ha coinvolto poco la comunità del sistema giudiziario. Non è solo questione di procedure ma soprattutto di organizzazione e strumenti a disposizione di un sistema giudiziario che dia coerenza all’esercizio dell’articolo 24 della Costituzione.
Facendo un rapido bilancio sul personale possiamo rilevare alcuni dati indicativi: l’età media dei dipendenti è di 54 anni, la carenza media di organici su tutti gli uffici é del 25%, (in alcune regioni del nord, in particolare in Veneto, per alcuni uffici è del 50%).
Le procure sono supportate dalla Polizia Giudiziaria, uffici giudicanti e Giudici di Pace e stipulano convenzioni con Enti locali ed altri enti per sopperire alle carenze di personale. Nonostante il buon piano assunzionale, frutto del confronto tra amministrazione e sindacato che da anni porta avanti la battaglia per il potenziamento, ad oggi sono stati assunti circa 3.000 dipendenti per arrivare entro il 2023 a più di 8.000, che non riescono a compensare le uscite previste dalla legge Fornero e Quota 100. Paradossalmente si assume di più ma non abbastanza per compensare le uscite. Caso esemplifico è il concorso per 400 direttori: strutturato in modo da agevolare l’ingresso di magistrati onorari e avvocati e personale interno, si sono presentati meno della metà dei candidati. Dei pochi presentati la metà sono stati bocciati, sono passati quasi solo gli interni, una buona parte dei quali andrà in pensione tra pochi anni e difficilmente si sottoporranno a mobilità territoriale. Da poco si è conclusa positivamente una vertenza decennale dei precari della giustizia, ciò non può diventare la regola. Se non interviene un piano di assunzioni straordinario, con questa organizzazione, si rischia la paralisi.
Passando ad alcune proposte di riorganizzazione – ad esempio l’Ufficio del processo, progetto partito nel 2014 – occorre registrare che esso non è mai decollato per mancanza di risorse. Questa innovazione consisteva in una nuova organizzazione che doveva mettere a disposizione dei Giudici e Pm del personale qualificato, che li aiutasse nell’attività di ricerca e studio durante l’istruttoria del processo e nella fase finale, scrivere le bozze delle sentenze.
È necessario un filtro per la possibilità di appellare, anche questo è legato alla lentezza della durata dei processi.
La giustizia è mal messa anche a livello di strutture, immobili belli e di grande pregio ma inadeguati ad ospitare gli uffici pubblici. Mancano le aule per fare un numero adeguato contestuale di udienze, in più la maggioranza di esse non sono a norma e la pandemia ha messo a nudo tutti i limiti e l’impossibilita di superarli.
Molti palazzi rientrano nel patrimonio artistico e gli interventi sono da concordare con il Ministero dei Beni culturali. Ripensare l’allocazione degli uffici per avere strutture più funzionali è una priorità se vogliamo far funzionare bene ed in sicurezza la giustizia.
Sul capitolo innovazione e digitalizzazione siamo ancora troppo indietro, ancora a macchia di leopardo. Mancano prioritariamente gli strumenti infrastrutturali e materiali ma soprattutto manca la formazione sulle competenze digitali per la riconversione dei processi utilizzando al meglio la dimensione telematica.
Nel settore Penale la digitalizzazione degli atti è ancora in fase sperimentale. Tra i pochi uffici pilota ad oggi si segnalano Le Procure della Repubblica di Milano, Napoli e Genova.
La mancanza di personale da dedicare a tale attività ha aumentato le esternalizzazioni, molte sedi infatti si sono avvalse del supporto di cooperative esterne per avviare il processo di digitalizzazione. Poi, come da prassi, il progetto di implementazione della digitalizzazione non è stato rifinanziato e si è avuto un primo fermo, per ripartire in piena pandemia, con però la difficoltà di dover usare un programma progettato più di 15 anni fa che ha bisogno di essere adeguato.
Come per tutta la Pubblica amministrazione ciò che serve in modo emergenziale è il rafforzamento della rete, che, ad oggi, non regge i flussi di lavorazione appena essi si intensificano. Il parco macchine è obsoleto: computer senza sistema video e microfoni lenti.
Il collegamento da remoto spesso è impossibile, spesso il dipendente non si può collegare sia per la formazione a distanza che per l’udienza o altra attività. Le aule sono attrezzate con mezzi di fortuna, piccole telecamere che consentono la visione del collegamento al giudice e al cancelliere.
Al di là quindi della riforma del diritto e delle sue procedure, le proposte di riforma non possono essere unilaterali, fatte da soggetti che poco conoscono la realtà degli uffici. La comunità giudiziaria va coinvolta tutta. Sugli aspetti organizzativi occorre programmazione, visione e continuità. Progetti anche interessanti dal punto di vista organizzativo ma che durano una stagione non ce li possiamo più permettere. Si sprecano risorse e si perde tempo ed energie preziose, non si crea valore né per il sistema né per i lavoratori.
È necessario un nuovo modulo organizzativo, lo snellimento delle procedure, incentivare la formazione e valorizzare il personale.
Occorre riflettere sulla diarchia imperfetta della doppia dirigenza: dirigente amministrativo e magistrato.