NON RISPETTATO LO SPIRITO DEL DECRETO!
Se c’è un elemento qualificante il DPCM dello scorso 3 novembre a doppia firma, quella del Presidente del Consiglio dei Ministri e quella del Ministro della Salute, questo è sicuramente rappresentato dalla volontà del decisore politico di scoraggiare la mobilità delle persone: divieti e raccomandazioni ad evitare gli spostamenti, se non motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità, per esigenze di studio o per motivi di salute, caratterizzano il testo del decreto con differenti steps di intensità in ragione degli scenari di gravità e dei livelli di rischio delle aree del territorio nazionale ( Regioni in “codice rosso”, “arancione” e “giallo”). A questo elemento si aggiunge, non quale misura di organizzazione del lavoro in questa fase, bensì come strumento di tutela della salute pubblica e negli ambienti di lavoro, sulla scia dei precedenti decreti di ottobre, la raccomandazione, rivolta ai datori di lavoro pubblici e privati, ad un ricorso massiccio allo smart working che, di fatto, nella nuova fase emergenziale diventa una delle modalità ordinarie di esecuzione della prestazione lavorativa incentivata dal decisore politico e già qualificata come tale dall’articolo 1 del “DM Dadone” dello scorso 19 ottobre.
Ebbene, nonostante tali premesse e la dichiarata volontà del Governo di frenare la mobilità per deflazionare la diffusione del COVID-19, è come se il DPCM del 3 novembre non esistesse per l’INPS! È questa la considerazione che sorge spontanea al termine della riunione di eri pomeriggio del Tavolo nazionale, riunione convocata su nostra richiesta per fare il punto sulle modalità applicative in Istituto del DPCM del 3.11.2020, e nel corso della quale l’Amministrazione ha di fatto, a parte qualche timida apertura espressa in termini di monitoraggio sull’afflusso del pubblico agli sportelli e di approfondimenti tecnico-normativi sugli istituti economici da estendere allo smart working, respinto le nostre richieste di elementare buon senso.
SPORTELLI AL PUBBLICO
Nonostante il divieto o la raccomandazione, a seconda dei territori, ad evitare gli spostamenti delle persone, l’Istituto mantiene il servizio di informazione al pubblico in presenza fisica su tutto il territorio nazionale, comprese le Regioni in “codice rosso” (sic!), incentivando in questo modo quella mobilità che il Governo vuole frenare. Abbiamo fatto presente che, in considerazione della vigenza del DPCM (ad oggi le sue misure dispiegano un’efficacia temporale circoscritta al 3 dicembre 2020), sarebbe stato non solo opportuna, ma soprattutto aderente allo spirito del provvedimento governativo, la sospensione degli sportelli in modalità fisica su tutto il territorio nazionale trasferendo la relazione con il pubblico sulla forma remota (sportello telefonico provinciale, prenotazione con chiamata in anticipo da parte dell’operatore INPS, estensione della sperimentazione del web meeting sullo sportello di primo livello, ecc.) che, lo ricordiamo, ha permesso all’INPS, in pieno lockdown, di mantenere il rapporto con la sua utenza, maturando una non trascurabile esperienza oggi utilissima nella nuova fase emergenziale. Persino i Centri Medico-Legali, ad eccezione delle visite non surrogabili con esame documentale delle condizioni di salute di chi chiede prestazioni ad esse collegate, possono operare prescindendo dalla presenza fisica del personale.
Qual è stata la risposta dell’Amministrazione? Un muro di gomma. L’unica apertura, a fronte
della nostra obiezione che gli sportelli aperti al pubblico in presenza fisica, sarebbero rimasti deserti con conseguente dispendio di energie, persone e risorse economiche visto il divieto o la raccomandazione ad evitare la mobilità, è stata l’impegno a monitorare l’afflusso fisico per verificare l’utilità della misura! Non abbiamo la sfera di cristallo per prevedere il futuro, ma a naso, confidando nel buon senso delle persone, crediamo che nessuno sarà “smanioso”, di presentarsi fisicamente agli sportelli dell’INPS avendo altre modalità di interfaccia con il nostro Istituto (addirittura nelle Regioni a “codice rosso”, stante il divieto di mobilità all’interno dello stesso Comune, si configurerebbe come violazione del DPCM e quindi inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall’autorità pubblica, un reato sanzionato dall’art. 650 del Codice Penale, non essendo la visita agli sportelli dell’Istituto ascrivibile né alla mobilità per lavoro né tanto meno a quella per salute o necessità).
SMART WORKING
Sullo smart working abbiamo ribadito per l‘ennesima volta la volontà di addivenire ad un accordo che disciplini, nella fase emergenziale in atto, tale modalità di lavoro per “traghettarci” verso il P.O.L.A. (Piano Organizzativo del Lavoro Agile), un accordo che regoli istituti normativi ed economici (buono pasto, straordinario, diritto alla disconnessione, fasce di contattabilità, in questa fase emergenziale) dando al lavoro agile pari dignità giuridica ed economica rispetto al lavoro reso in presenza fisica. Sulla scia dei precedenti decreti di ottobre, il DPCM del 3 novembre incentiva il ricorso allo smart working tanto che le pubbliche amministrazioni “assicurano percentuali più elevate possibili di lavoro agile compatibili con le potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato … garantendo almeno la percentuale (il 50%) di cui all’articolo 263, comma 1, del DL n.34/2020”.
Sul tema, al di là di un generico impegno ad approfondire sotto il profilo tecnico-normativo le nostre reiterate richieste, permane, di fatto, ad oggi una posizione non dialogante da parte dell’Amministrazione, trincerata dietro interpretazioni non condivisibili suscettibili di essere superate nell’ambito di quel confronto serrato che, a nostro avviso, deve portare ad un accordo collocando lo smart working nel suo alveo naturale qual è la contrattazione collettiva di lavoro.
FP CGIL
Matteo Ariano Antonella Trevisani
CISL FP
Paolo Scilinguo
CONFSAL/UNSA
Francesco Viola