Una legge cui la Funzione Pubblica Cgil, tra i primi, si è opposta, segnalando la vicenda al Ministro dell’Istruzione. Legge che, prima di tutto, non teneva conto dei titoli di precedenza che regolano l’accesso agli asili: ovvero le situazioni di bisogno e disagio. Veniva a mancare inoltre il principio di uguaglianza, oltre che la stessa funzione educativa e vocazione sociale del nido: integrare e aggregare.
Tempo di riflessioni.
A bocce ferme è tempo di riflessioni su un fenomeno che investe molto più che i semplici territori regionali, ma che potremmo definire su scala nazionale. In tempi di campagne politiche apertamente indirizzate alla condanna del diverso, questo episodio locale non ha fatto altro che da specchio a una situazione più complessiva e delicata che non va sottovalutata.
“È stata una scelta dettata da una rincorsa elettorale sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, dietro lo slogan molto in voga in questo periodo ‘prima i veneti’– commenta Daniele Giordano della Funzione Pubblica Cgil Veneto -. Senza rendersi conto che dentro questo furore ideologico si andavano a penalizzare non solo i migranti ma anche i giovani universitari che scelgono di costruirsi un futuro in Veneto, senza neanche il supporto delle famiglie e di una rete sociale, o tutti i lavoratori che vengono da fuori per contribuire alla crescita produttiva della regione, togliendogli il sostegno dei servizi pubblici”.
A suo tempo la Funzione Pubblica Cgil è stata tra i primi a segnalare e denunciare il provvedimento, come intollerabile e discriminatorio, cogliendo l’indisponibilità a un confronto, nella logica del ‘difendiamo i nostri’, senza poi capire bene chi fossero ‘i nostri’. La categoria scrisse sia al garante dell’infanzia che al Ministero dell’istruzione, chiedendo che il governo si impegnasse ad impugnare la legge. Fortunatamente, come era naturale che fosse, la norma è stata dichiarata illegittima.
“Non possiamo che esserne soddisfatti – dichiara Giordano -. “È del tutto evidente che quel provvedimento fosse dettato da motivazioni elettorali più che da reali esigenze, in un periodo in cui, per altro, il Veneto ha al contrario carenza di offerte”. Conclude: “La soluzione è fare un piano di investimenti per migliorare la rete dei servizi, non sbarrare le porte! Bisogna investire sulle assunzioni e sulle strutture”.
Un quadro dei servizi educativi in Italia.
Il caso del Veneto è solo uno tra i tanti del variegato panorama italiano. È quello che spiega Maria Luisa Ghidoli della Funzione Pubblica Cgil Servizi Educativi. “Ogni regione ha le sue regole speciali e la fantasia non si spreca in termini di provvedimenti agghiaccianti! C’è di tutto e di più in giro!”.
Proprio sullo stato dei servizi educativi all’infanzia, due anni fa la Funzione Pubblica Cgil lanciò una campagna, #ChiedoAsilo, tutt’ora viva, che scattava una fotografia dalla quale emerse che ben 900mila bambini rimanevano esclusi dagli asili nido per l’impossibilità di accedervi, per la scarsa offerta pubblica e la dispendiosa richiesta privata. Da allora qualcosa è cambiato, anche grazie allo sblocco del turn over che ha permesso nuove assunzioni, ma è bene ampliare l’intervento su un servizio ancora carente sotto molti punti di vista.
Ma tornando al caso delle leggi speciali delle regioni, Ghidoli ci offre un quadro del panorama italiano: “Lo scenario è vasto, da chi esternalizza i pomeriggi della scuola per l’infanzia a chi prolunga gli orari di lavoro strizzando l’occhio alle famiglie ma perdendo di vista il bisogno del bambino di trascorrere parte della giornata in un contesto familiare”.
Dunque la gestione del lavoro e della famiglia risulta essere una delle priorità di cui i servizi educativi italiani devono tener conto. “È necessario permettere alle lavoratrici e ai lavoratori una conciliazione vita/lavoro di cui beneficerà in primis il bambino, che è il vero utente di un asilo nido. Non dobbiamo dimenticarcelo”.
Nei casi dei privati la situazione è ancor più fuori controllo, spiega Ghidoli, perché “chiaramente devono far quadrare i conti e trarne un profitto. Che si traduce in tagli al personale, in aumento dell’orario di lavoro e così via. Insomma, una situazione vasta e complessa che richiederebbe maggiori approfondimenti”.
“Siamo inoltre preoccupati dall’avvicinarsi della scadenza del decreto 113/2016, nel dicembre 2018, che ha permesso lo sblocco del turn over – aggiunge Ghidoli – Grazie ad esso è stata data la possibilità di assumere nuovo personale. Non tutti hanno sfruttato questa possibilità, ma chi non lo ha fatto ha dovuto assumersene la responsabilità senza nascondersi dietro a un ‘non posso’”. Conclude: “Nei prossimi anni si potrebbe tornare, per l’ennesima volta, ad una situazione di blocco che certo non migliorerà lo stato dei servizi educativi in Italia”. Dunque il nostro impegno non si deve arrestare.