Settore non rispetta giusto orario di lavoro
carenza personale vera ragione
Roma, 16 novembre 2015
Sessantamila infermieri in meno rispetto al fabbisogno. A tanto ammonta la carenza di personale infermieristico, pari al momento a 270 mila unità in sanità pubblica, nel nostro paese e “vera
ragione” per la quale l’Italia rischia una nuova procedura di
infrazione da parte dell’Unione Europea sul giusto orario di lavoro.
A denunciarlo è la Fp Cgil Nazionale lanciando così l’allarme, e la
possibile soluzione, sui rischi che il nostro paese correrà tra meno di
dieci giorni.
Il 25 novembre, infatti, entrerà in vigore, a
distanza di un anno dalla concessione della proroga, l’applicazione
della normativa Ue sul giusto orario di lavoro in Sanità pubblica. È
di questi giorni l’avvio di un tavolo di trattativa per ‘gestire’ la
vicenda tra sindacati e governo presso l’Aran ma, spiega la categoria
dei servizi pubblici della Cgil, “siamo in gravissimo ritardo. Abbiamo
trascorso invano un anno senza che il nostro paese si mettesse in
regola, con il rischio, a questo punto certo, di subire pesanti sanzioni
da parte dell’Unione Europea”.
Nel dettaglio la direttiva europea prevede il rispetto delle 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore e di non poter superare le 48 ore lavorative settimanali.
“Uno standard attualmente impossibile da garantire per l’esiguo
personale disponibile”, precisa la Fp Cgil, spiegando che “tutte le
professioni sanitarie ‘turniste’ sono soggette a massacrati turni e
continui straordinari, che fanno ricadere solo sulle loro spalle la
tenuta del Servizio sanitario nazionale”.
“L’impossibilità di
poter garantire il giusto orario di lavoro” deriva, secondo la Fp Cgil,
dal totale degli infermieri impiegati in Sanità pubblica. Dal 2010,
anno del blocco del turnover, “si è progressivamente ampliata una
carenza sul totale degli infermieri occupati”, i quali attualmente sono
oltre 270 mila su tutto il territorio nazionale. Un tale dato risulta di molto al di sotto del ‘giusto’ rapporto, come individuato dall’Ocse, tra il numero degli infermieri e quello della popolazione totale, che dovrebbe essere pari a sette infermieri su mille abitanti.
Facendo
una proporzione con l’intera popolazione del nostro paese e con il
progressivo invecchiamento, spiega la categoria della Cgil, “si evince
facilmente quanto siano necessari lo sblocco del turnover e l’assunzione
di almeno 60 mila unità infermieristiche nella sanità pubblica solo per
raggiungere il livello minimo essenziale di assistenza sanitaria nei
confronti dei cittadini, a fronte, inoltre, di un totale di 40 mila
laureati disoccupati e, dunque, immediatamente disponibili”.
Ragioni
per le quali, durante l’incontro all’Aran dello scorso 10 novembre, “ci
siamo mostrati fortemente contrari all’eventualità di una possibile
ulteriore deroga sull’applicazione della normativa sul giusto orario”,
fa sapere Cecilia Taranto, segretaria nazionale del comparto
sanità della Fp Cgil, secondo la quale: “La vicenda va risolta non solo
prevedendo lo sblocco del turnover e le nuove assunzioni di tutte le
professioni sanitarie ma è necessario ripensare l’impianto
dell’organizzazione del lavoro e questo dovrà essere affrontato
inderogabilmente in sede di rinnovo del contratto nazionale, per questo
stiamo portando avanti la mobilitazione che il 28 novembre ci porterà in piazza”.
Il
rischio per l’Italia, che inevitabilmente si rifletterà sul sistema
sanitario, è una doppia esposizione a sanzioni: “Da parte dell’Unione
Europea – spiega la Fp Cgil – verso il nostro paese, a causa della
deroga stessa, e da parte dello Stato italiano verso i dirigenti delle
strutture sanitarie, per una cifra che va dai 25 ai 780 euro per ogni singola infrazione commessa in merito al rispetto del riposo giornaliero e del limite massimo di monte ore settimanale”.
Per
Taranto “il dato più lampante, dunque, è che si sta andando incontro ad
un aggravio delle condizioni di efficienza del Sistema sanitario
nazionale, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista
delle prestazioni assistenziali e sanitarie. Di fronte ad un sistema che
non è più in grado di assicurare la sua tenuta, l’incremento degli
infermieri, e più in generale di tutte le professioni sanitarie, è la
prima via da percorrere per garantire la sostenibilità della sanità
pubblica verso i cittadini”, conclude.