L’anamnesi in tema di responsabilità Medica. Articolo di Riccardo Bucci Dottore in Diritto

20 Settembre 2013

L'anamnesi in tema di responsabilità Medica. Articolo di Riccardo Bucci Dottore in Diritto

 
Con una recentissima pronuncia, in tema di responsabilità professionale da “contatto” sociale del medico, la Corte di Cassazione, Sez III Civ, con la Sentenza del 12 settembre 2013, n. 20904, riesamina sotto un nuovo profilo la responsabilità del medico.

Con tale decisione, la Corte di Cassazione prende posizione su un tema di fondamentale rilevanza per quanto attiene la professione medica e la responsabilità da “contatto” sociale.

L’attribuire rilievo ad una mancata collaborazione o imprecisione dell’E. nel fornire le indicazioni in sede di anamnesi, oltre che enunciata del tutto genericamente, è parimenti singolare, atteso che, una volta iniziato il rapporto curativo, la ricerca della situazione effettivamente esistente in capo al paziente, almeno per quanto attiene alle evidenze del suo stato psico-fisico, è affidata al sanitario, che deve condurla in modo pieno e senza fidarsi dell’indirizzo che può avergli suggerito la dichiarazione resa in sede di anamnesi dal paziente, integrando un diverso operare una mancanza palese di diligenza, con la conseguenza che deve escludersi che l’incompletezza o reticenza sotto il profilo indicato delle informazioni sulle sue condizioni psico-fisiche, se queste sono accertate dal sanitario e/o dalla struttura attraverso l’esecuzione accurata secondo la lex artis della prestazione iniziale del rapporto curativo, non può essere considerata ragione giustificativa per l’applicazione della limitazione di responsabilità di cui all’art. 2236 c.c”.

La Corte afferma che dal momento in cui il paziente è in cura ed il rapporto contrattuale con la struttura ospedaliera si è instaurato, lo stesso non ha più alcuna responsabilità in merito alle indicazioni che fornisce alla struttura sanitaria in sede di anamnesi.
Nel caso di specie il paziente aveva denunciato un trauma inguinale in sede di anamnesi. Le indagini si svolgevano  di conseguenza e i medici prescrivevano antidolorifici, non potendo immaginare, in base alle dichiarazioni rese in modo non completo dal paziente, che tale trauma avesse anche potuto causare una ferita nel quadricipite femorale con introduzione nel muscolo di una scheggia di 4 cm.

All’acuirsi dei dolori, in sede addominale, veniva nuovamente prescritto un antidolorifico, valutando che i dolori potevano originarsi da un’emorragia da trauma, confermata da 2 tac successive. Solo posteriormente, quando l’aggravarsi della ipotizzata emorragia ha costretto i medici ad un intervento chirurgico per rimuovere il liquido in eccesso, gli stessi si sono resi conto che ciò che appariva dalle tac non fossero sacche ematiche bensì purulente.

Le indicazioni iniziali del paziente hanno portato i medici a indagare in maniera erronea, e la Corte afferma che tale errore consiste proprio nell’aver riposto fiducia in quanto asserito in sede di anamnesi dal paziente, integrando una mancanza palese di diligenza. Si configura quindi, secondo la Corte, la responsabilità civile del medico curante, non potendosi in tal caso invocare la disciplina normativamente più favorevole di cui all’art. 2236 c.c. (responsabilità solo per dolo e colpa grave in caso di prestazione d’opera implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà).

Tale decisione non solo mina quel rapporto fiduciario tra medico e paziente, fondamentale per una pronta e completa gestione della cura, ma rafforza inevitabilmente il fenomeno della c.d. medicina difensiva, costringente per il medico curante e di conseguenza anche per la struttura sanitaria. Infatti non basterà più approntare un programma di cura sulla base delle prime indicazioni fornite dal paziente al suo arrivo nella struttura sanitaria ma sarà necessario aumentare ulteriormente il numero di analisi da effettuare e, in ogni caso, il medico sarà costretto a considerare le prime indicazioni fornite dal paziente quali “non meritevoli di fiducia”.

La diagnosi, fase essenziale per il processo curativo, deve quindi formarsi in base a tutti gli elementi che al solo medico risultino evidenti, “…senza fidarsi dell’indirizzo che può avergli suggerito la dichiarazione resa in sede di anamnesi dal paziente…

E’ palese come tale interpretazione della Corte aggravi ulteriormente la posizione del medico curante. Tale pronuncia alimenta ulteriormente pratiche di “medicina difensiva”, atte a rafforzare e tutelare la posizione giuridica del medico a discapito della rapidità degli interventi e, quindi, spesso la loro efficacia. Rischia la Corte di indebolire le basi su cui poggia il rapporto fiduciario medico-paziente, elemento fondante  la professione sanitaria. L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte nella realtà attuale compromette in modo rilevante le possibilità di intervento del nostro sistema sanitario, anche sotto il profilo dei costi, già ampiamente deficitario. L’attuale disciplina giuridica, inoltre, già spesso risulta limitativa della libertà d’azione e di intervento dei medici, forse anche in risposta ad una negativa considerazione generale che si ha sulla stessa professione  e sulla sanità nel nostro paese. Con tale formalismo, teso a tutelare la parte debole del rapporto (il paziente), si rischia, però, di scindere l’elemento professionale da quello umano, quando e dell’umano e della sua cura che tale professione si occupa.
 

Dott. Riccardo Bucci
 Dottore in Diritto

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