Tra gli incomprensibili fenomeni che caratterizzano la vita dell’Istituto, merita attenzione il tema dell’attribuzione delle posizioni organizzative.
Con spirito corporativo degno di nota, a dispetto delle annunciate modifiche al regolamento per il conferimento degli incarichi (le ultime deliberate nel febbraio di quest’anno), l’Amministrazione si ostina a salvaguardare lo status quo, evitando di normare in maniera equilibrata il processo di selezione.
Il perché è presto detto: non c’è un interesse reale nel mettere in discussione un modello forse disfunzionale, ma certamente comodo per chi siede in cabina di regia.
Così, nonostante la professata apertura all’innovazione, nonostante i richiami ai percorsi di carriera chiari e competitivi, la ridefinizione dei pesi all’interno della procedura selettiva diventa un tabù, almeno per il momento.
Permane, cioè, la totale discrezionalità dei dirigenti, chiamati a individuare la risorsa competente sulla base di “suggestioni”: con 65 punti correlati a un colloquio, la commissione può decidere di fatto vita, morte e miracoli dei singoli candidati. L’impressione, a esser maliziosi, è che talora sia maggiormente premiata l’accondiscendenza al capo che non la competenza.
Il nodo più disarmante, però, è l’incapacità di rendere meno opaca la procedura di assegnazione di un incarico. Che sia interpello o posizione a bando, è talvolta difficile capire:
chi siano i candidati;
quanti abbiano presentato domanda;
perfino chi sia stato selezionato e quando.
Le segnalazioni dai territori non mancano. Ci troviamo così nella paradossale situazione in cui il merito viene declinato come una clava quando c’è da esprimere un giudizio individuale sulle lavoratrici e sui lavoratori (vedasi le valutazioni annuali) mentre, quando invece c’è da riconoscere una professionalità per l’assunzione di responsabilità gestionali, diventa una musica di sottofondo, anzi un conciliante rumore bianco.
E cosa si dice sul sonno della ragione?
Coordinatore nazionale FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo