Dichiarazione di Massimo Cozza, segretario nazionale FP CGIL Medici
La lettura del dossier dell’Espresso, oggi in edicola, può suscitare una ingiusta indignazione generalizzata per la categoria dei medici ospedalieri, quando la libera professione negli studi privati e nelle cliniche è esercitata solo da un quinto della categoria. Circa 20.000 medici che in maggioranza svolgono con onestà il proprio lavoro.
Si tratta allora di colpire chi truffa, ma non solo. Bisogna sconfiggere la latitanza di tante Regioni ed aziende, ed instaurare nuove regole certe di trasparenza, senza eludere la scadenza del 31 luglio 2007 per la fine della intramoenia allargata.
Esclusività di rapporto obbligatoria almeno per chi dirige strutture complesse e semplici, gestione aziendale della libera professione intramuraria dalle prenotazioni ai pagamenti, tariffe concordate, autorizzazione annuale alla libera professione intramuraria, subordinata al controllo annuale dei volumi concordati di attività svolta sia in regime istituzionale che libero professionale. Ed infine reperimento di spazi adeguati da parte dell’azienda, transitoriamente anche esterni.
Si tratta di proposte che in gran parte sono contenute nelle conclusioni della indagine del Senato e che si ritrovano nelle condivisibili proposte del Presidente della Commissione Sanità Ignazio Marino.
C’è però, nel Documento del Senato, una piccola falla, che rischia di far crollare la diga che si vuole erigere, cioè la possibile istituzionalizzazione della libera professione dei medici pubblici nei singoli studi privati.
In sostanza si ritornerebbe a prima della Bindi, che aveva previsto questa possibilità solo temporaneamente. A danno degli stessi medici che vogliono poter svolgere l’attività intramuraria all’interno degli ospedali senza doversi pagare gli studi, così come già viene svolta in gran parte del Nord, con ricadute positive per i cittadini, l’azienda e per il controllo della stessa evasione fiscale.
Roma, 20 aprile 2007