Nell’Ipotesi del CCNL, sottoscritta dalla più striminzita rappresentanza che le relazioni sindacali pubbliche ricordino, tra i risultati maggiormente sponsorizzati da media compiacenti e sindacati firmaioli figura la “settimana corta”, che rappresenterebbe una rivoluzione copernicana per il nostro settore.
In effetti il concetto introdotto nel dibattito politico da Maurizio Landini, e all’inizio sbeffeggiato dagli amici del giaguaro, ha in sé una valenza di forte impatto, essendo ancorato a un principio di benessere organizzativo: lavoriamo meno, lavoriamo meglio, a parità di salario.
In INPS, peraltro, fummo i soli a sostenere la necessità di avviare coraggiosamente una sperimentazione in questa direzione, nel silenzio delle altre sigle oggi così solerti nel riconoscere il valore della tematica.
Non si tratta di una trovata sui generis, ma di un modello già sperimentato, e con successo, in tanti paesi occidentali, meno legati a modelli arcaici quale il nostro: una prassi, peraltro, adottata nel pubblico come nel privato.
L’Ipotesi, però, si discosta da questo modello e prova a declinarlo “all’italiana”. In cosa consiste, allora, questa settimana corta? Nella rimodulazione DEL MEDESIMO ORARIO DI LAVORO su quattro giorni anziché su cinque.
In pratica, bisognerà allungare la giornata lavorativa di almeno un’ora e mezza, in modo tale da avere un giorno della settimana “libero”. Non il venerdì o il lunedì, ma un giorno, da valutare caso per caso.
La prima diretta conseguenza, ove si decida di avviare un simile processo, sarà l’attribuzione al dirigente di sede del potere di decidere chi potrà riposarsi il venerdì o il lunedì e chi, invece, dovrà al più spezzare la settimana. Una misura destinata ad alimentare piaggeria.
Ma c’è di più: sì, perché la riduzione delle giornate dovrà comportare – A PARITÀ DI ORE LAVORATIVE – una RIDUZIONE DELLE FERIE E DEI PERMESSI FRUIBILI.
L’art. 18 dell’Ipotesi è chiaro ed è stato sottoscritto da sedicenti organizzazioni sindacali: “L’articolazione dell’orario di lavoro su quattro giorni comporta un riproporzionamento delle giornate di ferie annue nonché di tutte le altre assenze giornaliere dal servizio previste dalla legge e/o dai CCNL, fatto salvo il permesso per matrimonio”.
Tirando le somme si tratta quindi:
di una fregatura storica per cui lavoriamo di più per prendere la stessa somma (meno ferie, stesso stipendio, difficoltà a maturare straordinari a meno che non si voglia creare un accampamento in ufficio);
di una libertà condizionata poiché comunque subordinata all’erogazione del servizio.
Come ha ben spiegato il Ministro Zangrillo in una recente intervista, quella della settimana corta è infatti “un’opzione, in via sperimentale, e non costituisce alcun obbligo, l’orario di lavoro delle 36 ore settimanali non cambia, è una possibilità che ogni ufficio può valutare di utilizzare”.
È il Governo stesso a dire chiaramente che l’impegno non è vincolante, si tratta di una traccia da seguire solo se la parte datoriale lo ritiene.
Una cosa chiara a tutti, tranne a chi ha firmato la sciagurata Ipotesi.
Coordinatore nazionale FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo