La giornata inizia con un’assemblea molto partecipata con le lavoratrici e i lavoratori dello Spisal Padova, il Servizio Prevenzione per la Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro. Una lavoratrice, che si candiderà con FP Cgil alle prossime elezioni RSU del 2025, ci consegna a nome dei colleghi un Memorandum con la descrizione delle loro condizioni di lavoro e con rivendicazioni che, se da un lato sono comuni a tutte e tutti, a partire dalle condizioni di lavoro e dal salario, dall’altro raffigurano la situazione drammatica di carenza di organico in cui versano questi servizi. Qui come nel resto del paese. Negli ultimi 8 anni ben 148 tecnici della prevenzione hanno cessato il servizio presso l’USSL 6, di cui 87 per dimissioni volontarie. Così come sono numerose le richieste di mobilità verso altri servizi aziendali. Il lavoro dei tecnici della prevenzione, tanto fondamentale quanto semi-sconosciuto ai più, è carico di responsabilità pubbliche e anche di carattere penale, in virtù della loro funzione di ufficiali di polizia giudiziaria (UPG). Essi stessi si sentono “vittime” di politiche nazionali del tutto inadeguate in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. “Se non si ha idea del lavoro che facciamo, anche i provvedimenti legislativi risulteranno inadeguati”. Il riferimento è anche al recente provvedimento che ha immesso nei ruoli dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro funzionari di area tecnica senza che sia richiesta la laurea specifica prevista per i tecnici del ruolo sanitario.
La giornata prosegue in Azienda Ospedaliera di Padova. L’ospedale è tappezzato di volantini e bandiere rosse della FP Cgil. Si discute dell’attività sindacale che le Rsu di FP Cgil assieme alla Federazione padovana stanno gestendo, tra mille difficoltà: dalla gestione degli orari di lavoro delle 16 piastre operatorie dell’Azienda Ospedaliera, per le quali si riduce il tempo di lavoro che per gli infermieri è necessario per gestire il paziente nel decorso post operatorio, fino al problema delle liste chirurgiche fatte in base agli obiettivi aziendali e non anche, invece, sugli organici effettivi del personale, determinando così carichi di lavoro pesanti e un ricorso importante all’istituto delle pronte disponibilità, fino a 10 al mese. Le “soluzioni” dell’Azienda sono inadeguate e, tra queste, la sperimentazione di un “Oss strumentista” – un ruolo inesistente nelle norme e nel CCNL – raccoglie da tutti, indistintamente, un giudizio negativo. Emerge quindi con chiarezza la volontà delle lavoratrici e dei lavoratori di discutere di organizzazione del lavoro e di confrontarsi con l’Azienda su questi temi attraverso le proprie rappresentanze sindacali. Fatto che, come noto, è impedito da anni a tutto il pubblico impiego dalla Legge Brunetta del 2010. Allo stesso tempo emerge il bisogno di veder valorizzate tutte le professioni che fanno sì che quel sistema complesso che è il Servizio Sanitario Nazionale possa funzionare, tutti i giorni, per tutte e tutti, cittadine e cittadini. Dai medici alle assistenti sociali, dagli Oss ai fisioterapisti, dagli infermieri agli amministrativi, solo per citarne alcuni. Emerge, infine, un NO deciso alla figura dell’assistente infermiere recentemente istituito con un Accordo in Conferenza Stato Regioni.
La giornata inizia all’alba con le infermiere e gli infermieri dell’assistenza domiciliare e delle cure palliative a domicilio: un ruolo e una funzione importante e delicata, un lavoro di relazione complesso, un livello essenziale di assistenza dal quale non si dovrebbe prescindere. Eppure, anche qui, la carenza d’organico è un male presente e costante.
Si va all’Ospedale di Montebelluna. Anche in questa occasione il presidio della FP Cgil è evidente, davanti all’ingresso dell’ospedale, perché l’alleanza con le cittadine e i cittadini per difendere e sostenere il Servizio Sanitario Nazionale Pubblico e Universale è imprescindibile per chi, come noi, è davvero sindacato generale e confederale. I lavoratori si fermano con noi, allo smonto turno, e parte un coro unanime: non ci sono infermieri, gli standard assistenziali dei reparti di medicina e geriatria sono insufficienti, mancano i medici e quelli che ci sono se ne vanno, i Dipartimenti di Salute Mentale soffrono la carenza di personale e non sono pronti e attrezzati per affrontare i nuovi bisogni, non c’è una presa in carico adeguata da parte dei servizi per il fatto che le equipe multiprofessionali sono state depotenziate per mancate assunzioni. Tra le conseguenze negative quella che riguarda il lavoro nel territorio, la costruzione delle reti informali e formali, il sostegno alle reti di mutuo aiuto. Non c’è tempo. O, forse meglio, non c’è più tempo.
Una rivendicazione unisce gli infermieri del blocco operatorio di Treviso-Montebelluna con quelli di Padova: le carenze di organico, che hanno portato alla proclamazione di uno stato di agitazione del personale e, anche qui, nella turnistica si considera solo il tempo operatorio e non anche tutto quello che viene dopo che è lavoro esclusivamente a carico degli infermieri. Ancora a proposito di rivendicazioni, manca il confronto sull’organizzazione del lavoro, i saperi dei professionisti contano poco quando, invece, dovrebbero essere considerati fondamentali. Manca una cultura organizzativa che sappia tenere conto di questo e della complessità del lavoro che si svolge. Anche qui, un NO unanime alla figura dell’assistente infermiere.
Sotto una pioggia incessante, al presidio davanti l’ingresso dell’Ospedale, una struttura che a detta di molti è stata progettata male e per questo ha una situazione logistica che fa impazzire gli operatori, continuiamo a parlarci ed ascoltarci tra noi. Qui non c’è nessun investimento in tecnologia e digitalizzazione dei processi assistenziali ed amministrativi; c’erano reparti qualificati che sono stati prima smembrati e poi chiusi, i laboratori soffrono una forte carenza di organico che ha portato ad oggi, su una dotazione di 196 tecnici sanitari di laboratorio, ad una carenza di ben 46 lavoratori, costringendo chi c’è a fare ben 12 pronte disponibilità mensili. Circostanza, peraltro, non consentita dal CCNL. Dice un lavoratore, seguito da altri colleghi che annuiscono: “Scaricano sui lavoratori la responsabilità di garantire i servizi”. La stanza in cui ci siamo riuniti e in cui rimaniamo per più di tre ore è un via vai incessante di lavoratori e lavoratrici, in smonto turno o che stanno per entrare in servizio e che ci hanno raggiunto, anche per fermarsi solo qualche minuto. Non è solo una lunga sequela di cose che non funzionano o di condizioni di lavoro difficili da sopportare, ma è anche, anzi soprattutto, un amore incondizionato per il proprio lavoro e per il Servizio Sanitario Pubblico. Non serve nessuna commissione d’indagine per capire quali siano i mali della sanità: basterebbe passare qualche ora con i lavoratori, come abbiamo fatto noi e come facciamo tutti i giorni. Non sono sufficienti neppure le risorse che, di recente, Regione Veneto ha destinato al salario accessorio del personale del SSN. Come ha sostenuto la FP Regionale, non si salva il Servizio Sanitario Regionale destinando qualche spicciolo, peraltro solo ad una parte del personale, escludendone molti, e sottraendo quelle risorse a nuove assunzioni che sono, per la categoria, inderogabili e urgenti. Finché persisteranno i vincoli al salario accessorio e ai tetti di spesa sul personale, che questo Governo non ha cancellato come da tempo chiediamo, finché non vi saranno risorse ulteriori e sufficienti per rinnovare i Contratti Nazionali di Lavoro e per finanziare i Livelli Essenziali di Assistenza, la deriva del SSN non si potrà arrestare.