Nel mondo occidentale la settimana corta ha una formulazione lineare: si riducono le ore di lavoro a parità di salario. Non a caso la sua introduzione viene generalmente preceduta da una sperimentazione: il datore prova un nuovo modello, ne testa l’efficacia.
Non c’è generosità dalla controparte, ma freddo calcolo. L’esperienza mostra che lavorando meno si lavora meglio. Banalmente, si produce di più.
Ora, pensavamo di dover spiegare questa situazione al Governo, vincendone le resistenze; pensavamo di dover convincere la controparte datoriale, poco avvezza a modificare i propri paradigmi operativi; non immaginavamo di doverlo spiegare a chi dovrebbe stare “al di qua” del tavolo a rappresentare gli interessi dei lavoratori.
Allora, pur inforcando gli occhiali, abbiamo provato a leggere con attenzione il dettato del contratto e purtroppo dobbiamo confermare il giudizio. La settimana densa porta inesorabilmente a:
una riduzione delle ferie;
una riduzione dei permessi;
la perdita di un buono pasto;
l’impossibilità di scegliere in autonomia il giorno di riposo;
una permanenza in ufficio per oltre 9 ore;
l’impossibilità di effettuare straordinari.
Dopo aver complicato la vita a tutti, costringendo i dipendenti a programmare ad aprile le ferie dell’intero anno; dopo aver accettato il ridicolo aumento contrattuale di 165 euro lorde (di cui la metà pagate a dicembre, per consentire al Governo di recuperare tutto con l’Irpef); dopo aver fatto gli opossum quando si dovevano trattare temi extra-contrattuali come il tetto al Fondo (…ma confidiamo nel Gruppo Misto); dopo tutto questo, il sospetto viene: non è che stanno puntando tutto sull’assoluzione per non aver compreso il fatto?
Nel qual caso, ricambiamo la gentilezza: suggeriamo di farvi assistere da uno bravo, ma bravo per davvero.
Coordinatore nazionale FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo