Comprendiamo l’imbarazzo di chi, in questi giorni, deve difendere un impianto contrattuale che impedisce alle lavoratrici e ai lavoratori di recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione: non è facile arrampicarsi sugli specchi, anche se in certi ambiti si ha alle spalle una preparazione olimpica.
Buttarla in politica, ad esempio, è un ottimo modo per nascondere le proprie responsabilità. Il dato, però, è incontrovertibile: ci sono sindacati che chiedono risorse per il servizio pubblico, a prescindere dal colore dei Governi; e ci sono sedicenti organizzazioni che si sono subito arrese, sedendo al tavolo con la penna in mano, salutando con affetto la coerenza (giudicate voi stessi). Questione di scelte.
Un conto è battersi per chi eroga prestazioni e servizi, chiedere giustizia sociale, lottare per ottenere contratti dignitosi; altro conto è applaudire una manovra di bilancio che si limita a chiedere un contributo di carità, pardon “solidarietà”, alle banche. Sarà questione di Dna probabilmente.
La realtà, alla fine, presenta il conto e la forza dei numeri fa sì che le chiacchiere se le porti via il vento: il costo della vita è aumentato, l’Ipotesi di CCNL non consente nemmeno di arginare le perdite, a pagarne lo scotto vita natural durante saranno i dipendenti pubblici. Il saldo è impietoso:
dietro la mancia si nasconde una perdita in termini reali pari a 332 euro per ogni funzionario, 274 euro per ogni assistente, 260 euro per ogni operatore.
E mentre nel settore privato le stesse organizzazioni protestano (giustamente!) per adeguamenti contrattuali risibili, da noi si celebra in pompa magna la litania della responsabilità.
Si evoca lo spettro di Masaniello, sì, ma con l’autorevolezza di Martufello. Una domanda sullo sfondo: ma se il contratto è così innovativo, perché non facciamo esprimere tutti i lavoratori con un referendum?
Coordinatore nazionale FP CGIL INPS
Giuseppe Lombardo