“Ma lui mostro non è, perché un mostro è l’eccezione della società, mostro è quello che esce dai canoni normali, ma lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro”.
“Lui” è Filippo Turetta, e queste sono le parole di Elena, sorella di Giulia Cecchettin, che tutti abbiamo ascoltato e dalle quali siamo stati tutti colpiti. Colpiti in modo diverso: chi ne ha tratto spunto per una riflessione e chi ne è stato colpito come da uno schiaffo al quale rispondere con la violenza degli insulti.
In questi giorni si è parlato tanto di femminicidi e di patriarcato, ognuno ha potuto farsi una propria opinione. La violenza dei numeri (I dati del Viminale, relativamente al periodo 1° gennaio – 12 novembre 2023 riportano che sono 102 le donne uccise, di cui 82 in ambito familiare/affettivo; di queste, 53 hanno trovato la morte per mano del partner/ex) impone di fermarsi e di interrogarsi.
C’è un filo rosso sangue che lega la violenza contro le donne da parte degli uomini e tanti “piccoli”, ma gravi atteggiamenti dei quali spesso non ci si rende nemmeno conto, tanto è pervasiva la cultura patriarcale. Viviamo in una società che è tutta declinata al maschile, a partire dal linguaggio, e sappiamo quanto il linguaggio costruisca i mondi che abitiamo definendone le prospettive. Pensiamo a quanto è prepotente una cultura che trasforma in maschile un intero gruppo femminile se dentro esiste anche un solo elemento maschile. Cento bambine e un bambino diventa un gruppo di bambini.
È una prepotenza che tende allo stupro.
Non a caso, la prima donna nominata a guidare il Governo ci tiene a farsi chiamare “il Presidente del Consiglio”, perché quello è un ruolo “da uomini” che si può ricoprire soltanto se si pensa e si agisce da ‘maschi’. Infatti, non si è ancora visto un solo provvedimento del Governo che segni un reale cambio di rotta nei rapporti tra uomini e donne e nella cultura della prevaricazione (basti pensare ai provvedimenti sulle pensioni che hanno danneggiato principalmente le donne o i tagli ai centri antiviolenza, i massicci finanziamenti per le armi e la guerra). Del resto, è la politica del “celodurismo”, a cui il maggior partner di Governo si ispira.
La violenta cultura maschile attraversa in modo sistemico la vita delle donne e può assumere tanti diversi connotati: molestie sul posto di lavoro, violenza psicologica, discriminazione economica, sino all’epilogo più tragico del femminicidio. Siamo stati tutti testimoni almeno di battute sessiste tese a sminuire le donne: luoghi comuni sull’umore delle donne “condizionato dagli ormoni”; se una donna fa carriera è inevitabile fare riferimento alla sua “disponibilità sessuale”, e, al contrario, se una donna è “arrabbiata” lo è perché non ha un uomo che la completi, perché fa poco sesso, perché non ha figli e quindi è “incompiuta”, in un lungo rosario che relega la donna al solo ruolo di parte riproduttrice o sessuale.
È la cultura degli uomini che va cambiata, e non basterà un’ora di lezione nelle scuole o soltanto inasprire le pene. Servono investimenti sulla formazione per promuovere la cultura del rispetto e il valore delle differenze, ovunque: nelle scuole e nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nei teatri, nelle serie televisive e nei film; è prioritario cancellare quelle forme di precarietà proprie del mondo del lavoro femminile (i part time involontari e i divari retributivi) per migliorare la qualità e la quantità dell’occupazione delle donne, per renderle libere di scegliere. È fondamentale finanziare adeguatamente e incrementare i centri antiviolenza; occorre la formazione dei magistrati e delle forze di polizia per evitare la violenza secondaria.
Occorre rovesciare il paradigma che porta a credere che tutto si risolva con la violenza e la legge del più forte.
Oggi come oggi, viviamo in un mondo dove è stato cancellato dal vocabolario della politica tutto ciò che fa riferimento alla condivisione e al senso di comunità per esasperare il concetto di privatizzazione (dalla scuola alla sanità, dai beni primari come l’acqua alla casa). A livello internazionale è stato sdoganato il concetto di guerra (addirittura di guerra atomica) fino al punto che oggi non si pronunciano nemmeno più parole come “negoziato” “pace” “disarmo”.
In questo clima, le donne diventano non più solo “oggetti” ma beni di consumo su cui esercitare il possesso.
Si dirà: “ma è sempre successo!”. È vero, ma è tempo di finirla. È tempo di dire basta alla violenza, a partire da subito e dai gesti quotidiani. E sono principalmente gli uomini che devono cambiare, iniziare a guardare alle donne come persone e non come prede da catturare o sottomettere.
Per questo, per combattere la cultura dello stupro e della violenza, invitiamo le donne e gli uomini a partecipare insieme alla Cgil alle tante manifestazioni organizzate in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a partire da quella che si terrà sabato 25 novembre a Roma al Circo Massimo, come in tutte le altre piazze d’Italia.
IL COORDINAMENTO NAZIONALE FP CGIL ENAC