Il webinar è stato ideato per relazionare i membri EPSU/PSI circa l’iter legislativo della Direttiva UE sulla trasparenza fiscale e sui risvolti sindacali della stessa.
Il progetto di Direttiva 2016/881 CbCR (Country by Country Reporting), che modifica la precedente Direttiva 2011/16, prevede l’obbligo di pubblicazione dell’imposta sul Reddito (in Italia IRES) per tutte le imprese, multinazionali o autonome, a livello comunitario e con un fatturato complessivo superiore a 750 milioni di euro. Queste informazioni sarebbero poi pubblicate su Country Report nazionali e dunque rese accessibili ai cittadini.
L’interesse all’adozione di una simile Direttiva è strategicamente importante per le Organizzazioni Sindacali: sulla base di queste informazioni, è possibile ricostruire con grande precisione le strutturazioni societarie e conoscere il reale guadagno e volume di produzione dei gruppi di imprese. Queste conoscenze sono fondamentali quando si devono negoziare accordi collettivi, procedure di mobilità per giustificati motivi oggettivi, ristrutturazioni aziendali, nuove assunzioni o esternalizzazioni. Per questo motivo EPSU e PSI sono interessate a seguirne gli sviluppi.
La proposta della Commissione Europea ha ovviamente incontrato diversi ostacoli nel percorso legislativo. Intrapreso nel 2016, è stato a lungo tenuto ostaggio per via delle pressioni lobbiste intraprese, come prevedibile, dai rappresentanti delle imprese. Tuttavia, anche interessi politici di vari paesi hanno giocato il proprio ruolo in questa guerra di posizione, con in testa Irlanda, Malta, Cipro e Lussemburgo1, ma anche Germania e Svezia. Dopo un rapido riscontro del Parlamento sulla questione nel 2017, la proposta non è dunque mai stata messa all’ordine del giorno del Consiglio per ragioni di “opportunità politica”.
Come sottolineato dall’intervento di Patrick Orr (EPSU), la proposta legislativa era stata opportunamente disegnata in modo da non toccare la competenza fiscale degli Stati Membri, esclusa dai Trattati di Lisbona e pertanto riservata alla procedura di unanimità in seno al Consiglio. Agiva invece indirettamente nel campo del Mercato Interno e in particolare della Libertà di Movimento dei Capitali. Per tale motivo, tale iniziativa cadeva nell’ombrello della procedura ordinaria, con il Parlamento co-legislatore e l’adozione a Maggioranza Qualificata. Una linea d’azione strategica volta a superare prevedibili impasses di veto.
È interessante notare come la proposta abbia trovato il deciso supporto degli stakeholders del mondo della finanza, in particolare Fondi di Investimento di varia natura. Il deficit di informazioni è infatti uno degli aspetti più importanti nella regolamentazione dei mercati finanziari, e gli investitori privati hanno tutto l’interesse nel supportare una ulteriore “disclosure” di informazioni altrimenti privilegiate. Come sottolineato da Daniel Bartosa (PSI), lo standard proposto, per quanto ancora imperfetto, supera persino lo Stato dell’Arte come stilato sin ora dall’OECD, in quanto queste informazioni sarebbero rese pubbliche e non solo segnalate ai Governi nazionali.
Dopo anni di silenzio, la proposta è stata rimessa in auge su indirizzo politico del Governo portoghese, quest’anno alla rotating presidency del Consiglio. Quest’ultimo organismo è infatti finalmente giunto ad una posizione comune, e per fine giugno è attesa la fine della prima procedure di trialogo informale con il Parlamento. Secondo la MEP Evelyn Ragner, a sua volta con un passato da sindacalista, si registra l’assenza di supporto da parte di tutti i governi “populisti” d’Europa, diretto o indiretto, a cominciare dall’Austria. La stessa Francia sembra far ostruzione al solo scopo di poter annunciare l’adozione della Direttiva sotto il semestre a presidenza francese.
La proposta ha tuttavia dei punti deboli: inizialmente, prevedeva un obbligo per tutti i gruppi con fatturato superiore ai 400 milioni, allargando dunque lo scopo dell’intervento. È inoltre un’obbligazione limitata ai soli soggetti giuridici stabiliti in Europa, all’interno dell’Unione, restituendo così una fotografia solo parziale delle reali operazioni fiscali e finanziarie dei Gruppi d’imprese. Inoltre, sono tuttora presenti dei “loophole” nella disciplina, in quanto la bozza di Direttiva permetterebbe ai Gruppi di non condividere informazioni se rientranti sotto il segreto d’impresa, cioè quando la condivisione rivelerebbe strutture strategiche commerciali che la rendono competitiva rispetto agli altri operatori.
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1 Tali paesi sono stati oggetto di diverse attenzioni da parte della Commissioni per via delle proprie legislazioni fiscali sin dal Rapporto del 2017 sugli “Aggressive Tax Planning” (ATP). Formalmente, questi paesi non sono catalogabili come paradisi fiscali, ma la presenza di diverse disposizioni fiscali (beneficiary ownership non pubblicate per i trusts, esenzioni fiscali su dividendi, royalties o factoring etc.) in congiunzione con i vari Trattati Bilaterali contro la Doppia Imposizione, permettono la strutturazione di triangolazioni fiscali utili all’elusione fiscale o all’abbattimento della pressione fiscale sino ad aliquote risibili (vedasi casi Apple e Google). N.d.r.