Ai primissimi posti c’è il tema dell’assunzione stabile di personale nel Servizio Sociosanitario Nazionale. La pandemia si è abbattuta su un sistema fiaccato da anni di tagli lineari, che ha reagito in maniera più che proporzionale alle proprie forze, esclusivamente grazie all’abnegazione e alla professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori.
Se vogliamo pensare ad un potenziamento che guardi al futuro, anche per non ritrovarci di nuovo a gestire situazioni come queste, non si può continuare ad assumere personale precario, a termine, in somministrazione. Anche perché a queste condizioni si rischia di non trovarne quanto serve.
È altrettanto urgente una riforma serie dei sistemi di reclutamento, che li velocizzi rendendoli compatibili con l’emergenza.
Come abbiamo evidenziato nel nostro New Deal per la Salute, occorre un piano di riforma del Ssn che superi una visione centrata sugli ospedali, per arrivare ad una visione di servizi attivi verso i cittadini. Non il cittadino verso il servizio sociosanitario per ottenere prestazioni, ma un processo inverso volto alla promozione della salute, alla prevenzione, alla presa in carico.
I 20 miliardi messi a disposizione dal Recovery Plan per lo sviluppo di una rete territoriale di prestazioni e servizi, che parta dalla casa come primo luogo di cura fino ad arrivare alla rete ospedaliera, rappresentano sicuramente un passo nella giusta direzione ma rischiano di essere insufficienti. D’altronde, a monte della pandemia, venivamo da 37 miliardi di tagli al Ssn in un decennio (la maggior parte dei quali sul personale).
Servono più dosi. Il nostro paese dovrebbe farsi parte attiva all’interno dell’Unione europea perché Ema valuti ulteriori produttori.
Guardiamo con una qualche diffidenza alle iniziative di singole regioni che puntano a muoversi in proprio per aumentare gli approvvigionamenti, perché questo rischia di far venir meno il piano vaccinale come provvedimento nazionale e rischia di produrre ulteriori differenziazioni tra i territori.
Dal punto di vista organizzativo siamo sempre lì: serve personale stabile. Il modello Arcuri ci convince sempre meno, e con esso il fatto che per potenziare il piano vaccinale si utilizzino 15 mila professionisti attraverso un rapporto di somministrazione.
Infine, la pandemia ha evidenziato – se ce n’era bisogno – l’importanza strategica della ricerca scientifica per lo sviluppo, ma anche per la capacità di resilienza di un paese. Su questo è necessario rivedere nelle fondamenta il piano di investimenti degli istituti di ricerca ad iniziare dagli IRCSS, anche in termini di personale.
Per quanto riguarda l’azione di contrasto alla pandemia e il sistema a zone colorate, i dati ci dimostrano un progressivo miglioramento, coi limiti connessi al fatto che questa misura ambisce a contemperare contenimento dei contagi e necessità di non spegnere il paese.
Una gestione come questa comporta la necessità di maggiore presidio, di indicatori chiari e non interpretabili e tanta informazione per evitare che i cittadini vadano in confusione.
La pandemia ha reso evidente a chiunque ciò che non funziona dell’attuale sistema di divisione (e sovrapposizione) dei poteri. Il sistema delle autonomie ha dimostrato, nel corso della crisi, una fin troppo spiccata tendenza ad agire in maniera disarticolata. È evitabile, quindi, ogni ulteriore passo nella direzione di autonomie a geometria variabile che non hanno funzionato o, nella migliore delle ipotesi, hanno prodotto diseguaglianze che non costituiscono una ricchezza ma un ostacolo.
Non è più rinviabile una riorganizzazione complessiva dell’assistenza territoriale, anche attraverso una riforma profonda e strutturale della Medicina Generale e delle Cure Primarie che dovrebbero essere il primo punto vera nella presa in carico della cittadinanza in un sistema organizzato, e che invece ancora oggi rappresentano il vero punto di fragilità e discontinuità.
Nessuno mette in discussione il lavoro che, in particolar modo in fase pandemia, i medici della medicina generale hanno svolto. Ma riteniamo che il modello del libero professionista convenzionato sia vecchio e largamente migliorabile.