Vaccino ai lavoratori dei servizi essenziali: nessuno sia escluso

04 Febbraio 2021

Aprire un confronto sulla necessità di inserire nel piano vaccinale, e mettere in sicurezza, chi garantisce servizi pubblici essenziali


Con l’approvazione del vaccino di AstraZeneca, Governo, commissario Arcuri e Regioni hanno ridefinito il piano di vaccinazioni. Si è deciso che alla vaccinazione dei soggetti più a rischio già ricompresi nella fase 1 (operatori sanitari, ospiti delle Rsa e anziani), si affiancheranno anche quelli della fase 3.

Da quanto apprendiamo dalle notizie di stampa, AstraZeneca sarà somministrato al personale scolastico e universitario, docente e non docente (1.107.174 persone), a forze armate, polizia, guardia di finanza, guardia costiera e vigili del fuoco (551.566). Ci sono poi detenuti, personale carcerario e agenti di polizia penitenziaria (97.724), luoghi di comunità sia civili che religiosi (circa 200 mila) e infine coloro che lavorano in altri servizi essenziali per la comunità (2.167.200). Scelte sicuramente positive, ma va chiarito se nelle forze di polizia sono comprese – come rivendichiamo – anche quelle di polizia locale.

In queste settimane abbiamo più volte sollecitato incontri al Ministero della Salute per segnalare l’urgenza di ricomprendere alcune categorie di lavoratori dei servizi essenziali, qualunque sia il loro rapporto di lavoro, particolarmente esposti: quelli dell’igiene ambientale, a diretto contatto con lo smaltimento dei rifiuti Covid e in generale con le condizioni di igiene urbana; gli educatori e le educatrici, le maestre della scuola dell’infanzia che hanno continuato a lavorare in presenza e alle quali viene negata la possibilità di una protezione adeguata con la fornitura di mascherine FFP2; le lavoratrici e i lavoratori del terzo settore che fanno assistenza alla persona; gli psicologi e gli assistenti sociali tutti; i lavoratori dei servizi pubblici addetti ad attività che coinvolgono il pubblico (sportelli, assistenza diretta, etc).

Siamo molto soddisfatti che la nostra battaglia per la somministrazione del vaccino alla comunità penitenziaria sia stata vinta: è questione di salute ma anche di civiltà per i lavoratori del sistema carceri e per i detenuti.

Auspichiamo che si apra al più presto un tavolo di confronto sul dettaglio delle categorie di lavoratori pubblici e privati che rientrano nella platea dei cosiddetti “servizi essenziali” per non escludere nessuno.

Rimane una grande preoccupazione sulla tenuta del sistema sanitario – sulla necessità di sostenere il piano vaccinale, l’assistenza Covid e le prestazioni ordinarie – con la carenza di personale e risorse che ancora registriamo: la soluzione non può e non deve essere il ricorso al precariato, con l’uso massivo della somministrazione, ma va ripensato l’intero modello di formazione per le professioni sanitarie, di reclutamento e di valorizzazione professionale.

Ci sono le risorse e le competenze per rispondere al bisogno di potenziamento della sanità, non possiamo più avere né incertezze né perdere altro tempo.

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