Donne e lavoratrici, ognuna delle quali in questi mesi si è sobbarcata la responsabilità di lavorare per l’emergenza, al servizio dell’intero Paese. Ognuna di loro, per motivi diversi, aveva addosso una responsabilità enorme. E a questo senso di responsabilità si è spesso aggiunta la difficoltà di conciliare il proprio lavoro con la vita privata. Donne e spesso mamme con figli a casa, a causa delle scuole chiuse, o con familiari a cui dover badare. E spesso con il timore di essere potenziali portatrici del virus, per il fatto di non essersi mai fermate.
Sono loro a raccontarci cosa ha significato lavorare in emergenza e per l’emergenza, cosa è voluto dire sentire la responsabilità del benessere delle persone, capire che dallo svolgimento del proprio lavoro, mai come adesso, dipendeva il bene altrui. Lavoratrici dei servizi pubblici, in prima linea, e donne con un proprio personale.
Marina, ostetrica dell’Ospedale Apuane di Massa Carrara, in Toscana, ha continuato a far nascere bambini, in un momento drammatico in cui i telegiornali, con il loro bollettino giornaliero, continuavano ad annunciare, al contrario, il numero di morti. Il lusso di assistere alla bellezza di una nuova vita che viene al mondo, da una parte; esporsi ad un rischio elevato, dall’altra. Infatti Marina, durante il lockdown, è entrata in stretto contatto con una paziente positiva al virus e ha dovuto sottoporsi a 14 giorni di quarantena. Per fortuna è poi risultata negativa al virus, non ci sono stati contagi, ma si sono vissuti dei momenti sicuramente non facili per lei e per gli altri colleghi coinvolti.
Antonella, operatrice socio-sanitaria di una cooperativa sociale di Foligno, in Umbria, è entrata nelle case delle persone per assisterle nel momento di maggiore bisogno, quando gli ospedali, le scuole, i centri per disabili e molti altri servizi erano chiusi oppure zona off limits e ci si sentiva abbandonati. Non solo un’oss, ma una vera e propria figura di conforto e di riferimento per le tante famiglie assistite, per gli anziani, per i genitori in difficoltà nel gestire un figlio disabile privato delle strutture necessarie. Una responsabilità, una fatica, enormemente ripagate dai suoi assistiti che non hanno mancato di mostrarle affetto e riconoscenza per non essere stati lasciati soli.
Marina e Antonella sono due delle migliaia di donne che in questi mesi, attraverso il loro lavoro, hanno assistito, supportato, confortato e addirittura salvato vite per il proprio Paese. Due preziosi racconti a cui ne seguiranno degli altri. Perché questa storia vogliamo raccontarla con la loro voce, con i loro occhi e con le loro emozioni.