Sono 48 mila lavoratrici e lavoratori, gli educatori scolastici, che hanno il compito di occuparsi di una platea di 160 mila studenti con disabilità, di seguirli ed assisterli. Ma la loro professione prevede che siano contrattualizzati da settembre a giugno, lasciandoli scoperti nei mesi estivi, periodo nel quale non percepiscono stipendio – già di per sé molto basso – e non possono accedere agli ammortizzatori sociali, in quanto risultano formalmente ‘occupati’. Percepiscono, infatti, una retribuzione media mensile di 1.000 euro netti, per soli 9 mesi l’anno, considerando che la maggioranza di loro lavora con contratti part-time di tipo verticale. I più ‘fortunati’ con un contratto full-time sono purtroppo pochi.
Un settore, quello dell’educazione ai disabili, costituito prevalentemente da donne, quelle che hanno maggiormente risentito del periodo di lockdown a causa del nostro modello di società che vede l’uomo più facilmente in ruoli dirigenziali e di carriera e la donna come principale riferimento per la cura della casa e della famiglia.
“Ci chiediamo quando e come queste lavoratrici e questi lavoratori rientreranno in servizio”, spiega Jacopo Geirola, segretario della Fp Cgil di Firenze, nel giorno della manifestazione-flash mob, organizzata da Cgil-Filcams-Fp-Flc, nel capoluogo toscano dietro le parole ‘Anche noi siamo scuola’, per denunciare come negli appalti scolastici ci siano oltre 4 mila lavoratrici senza coperture salariali e previdenziali. Per questo, afferma Geriola, “è necessario, soprattutto in una fase di incertezza come questa, prolungare la durata degli ammortizzatori sociali. Questo contesto di incertezza e precarietà stona completamente con la rilevanza del servizio per la collettività”.
Le criticità emerse durante la pandemia del Covid-19 hanno dimostrato come forse sia necessario ripensare i rapporti di lavoro con chi garantisce questi servizi scolastici pur non essendo dipendente. E che spesso il sistema di appalti sacrifica la qualità del servizio ma anche la qualità del lavoro, non tutelando chi lo svolge. “Pensiamo – aggiunge Geriola – a società in house o altre soluzioni di ripresa in gestione del pubblico, come per le mense, dove avevamo già intrapreso una discussione con il comune di Firenze ancor prima dell’esplosione della pandemia e di cui esistono esperienze di successo in alcuni comuni della provincia e della regione”. Un tentativo, che non può fallire, di dare dignità contrattuale e stabilità a questi lavoratori.
Secondo il segretario nazionale della Fp Cgil, Michele Vannini, “l’emergenza Covid-19 mette di fronte a tutti il tema delle lavoratrici e dei lavoratori che operano in servizi pubblici in appalto che hanno visto sospendere i servizi e, di conseguenza, la propria retribuzione. Questa dev’essere l’occasione per avviare un ripensamento radicale sulle politiche pubbliche di affidamento dei servizi, che scaricano su queste persone l’esigenza degli Enti Locali di garantire servizi mantenendo bassi i costi”. Così come, prosegue, “non è più possibile tollerare, come avviene da troppo tempo, l’uso sistematico del part-time ciclico involontario per personale che è altamente qualificato e si occupa quotidianamente per tre quarti dell’anno di servizi delicatissimi, salvo poi scomparire d’estate venendo abbandonato alla necessità di inventarsi soluzioni per sbarcare il lunario”.
La Fp Cgil, conclude Vannini, “è da sempre vicina a queste lavoratrici e a questi lavoratori, ne supporta le vertenze che nascono sui territori, nella consapevolezza che senza rapide e adeguate risposte da parte di enti pubblici e soggetti gestori la strada non potrà che essere quella dell’allargamento della mobilitazione”.
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