UNA RIORGANIZZAZIONE IN SALSA FRANCESCHINI
Vi trasmettiamo, come preannunciato, il documento trasmesso ieri alla nostra controparte contenente le osservazioni sul nuovo schema di DPCM approvato in questi giorno dal Consiglio dei Ministri.
Il documento è lungo e articolato, in ragione della complessità di questo intervento di riorganizzazione, per semplificare proviamo ad identificarne i punti più significativi.
La premessa non si può discostare dalla critica radicale che noi a suo tempo avanzammo rispetto
alla filosofia di fondo che ha indirizzato le riforme Franceschini. Spiace constatare che questo è
stato il motivo della mancata condivisione unitaria del documento con gli amici della CISL, con
cui in passato abbiamo condiviso insieme una battaglia contro quei principi. Ma per noi il giudizio
di fondo è irrinunciabile, anche se non incide certo sulla tenuta dei rapporti unitari, in quanto si
tratta di valutazioni politiche generali che ciascuno legittimamente può avere e non di dinamiche
sindacali. E da questo punto di vista ci troviamo di fronte ad una operazione che utilizza abilmente
alcuni assist che derivano dallo schema Bonisoli e li elabora rivolgendole in parte in positivo
(ad esempio la scelta di sganciare alcune competenze dal Segretariato Generale rendendole autonome dal punto di vista amministrativo) dando peraltro una connotazione molto più corretta alle
funzioni di coordinamento in materia di digitalizzazione e prevedendo finalmente una struttura organizzativa ben identificata dedicata alle emergenze. Così come il rientro negli ambiti territoriali
dei Segretariati regionali e dei Poli Museali è un ripensamento più che giustificato alla luce della
vera e propria desertificazione che avremmo ritrovato in molti territori. Ma deve essere altresì
chiaro che questo ha significato la piena riaffermazione e un ulteriore rafforzamento dei principi
presenti nella riforma Franceschini, così come peraltro affermato dallo stesso Ministro nel corso
dell’incontro con noi.
La strumentazione utilizzata è evidente e riguarda una ulteriore proliferazione di musei autonomi
e nessuna rivisitazione organizzativa della struttura delle Soprintendenze Uniche, senza peraltro
aver voluto sottovalutare l’importanza dell’aumento delle posizioni dirigenziali in periferia, che si è
riverberato sul sistema della Soprintendenze e in minima parte sui settori di Archivi e Biblioteche.
Anche in questo caso abbiamo proposto un giudizio articolato: alcune scelte sono condivisibili
sulla base della necessità di rilancio della fruibilità del patrimonio in alcuni territori significativi, altre
ci sembrano cervellotiche e producono ulteriori frantumazioni territoriali in territori (Roma e Napoli)
di cui non si sentiva alcuna necessità. Solo per fare un esempio, nei pochi chilometri quadrati
che formano il centro di Roma si contano ben 7 musei autonomi.
L’altro aspetto fondamentale posto in evidenza è l’assoluta insufficienza dei fabbisogni professionali
individuati teoricamente e ancor peggio quelli effettivamente esistenti rispetto alla complessità
delle strutturazioni organizzative che la proliferazione di uffici produce. In linea di principio è
condivisibile istituire una nuova Soprintendenza in un territorio, ma se questo comporta che se si
dividono i pochi lavoratori tra queste strutture, ad esempio in un territorio che raddoppia gli Uffici,
rischiano di andare in default entrambi per la scarsità delle risorse umane che oggi non coprono
nemmeno le esigenze di uno dei due Uffici individuati. O di lasciare nel limbo, come sta avvenendo
per molti casi, l’Ufficio neo costituito in attesa di tempi migliori. Per questo riteniamo opportuno
che i territori interessati da queste mutazioni organizzative pongano subito in evidenza, anche
all’attenzione dell’opinione pubblica, la necessità che l’istituzione dei nuovi Uffici deve comportare
nei termini di un investimento organizzativo conseguente che li ponga in grado di funzionare. Altrimenti,come si dice a Roma, siamo alle “pecette”, ovvero alle medagliette in pectore per le conseguenti amplificazioni e mistificazioni mediatiche.
L’ultimo aspetto fondamentale riguarda la gestione delle relazioni sindacali in una nuova fase di
riorganizzazione e riallocazione dei lavoratori. Per noi si deve partire dalla riaffermazione della
validità degli accordi di mobilità volontaria che hanno uniformato la prima fase della riforma. A
nessuno venga in mente di attivare mobilità di ufficio perché questo comporterebbe la nostra immediata risposta sul piano conflittuale. E bisogna dare una spinta alle nuove assunzioni, le cui
procedure sono ancora impantanate nella burocrazia. Il 2020 è alle porte e l’esodo dei lavoratori
per i pensionamenti è imponente. Mancano allo stato 5000 lavoratori e non si vede luce. Se si
pensa di risolvere con ALES siamo alle pie illusioni: occorre un sforzo straordinario sui numeri e
tempistiche certe per i concorsi recuperando auspicabilmente la dimensione regionale e sottraendo
le procedura a questa visione e gestione immanente della Funzione Pubblica. In questo contesto,
lo ricordiamo sempre, vanno riconosciute le opportunità di crescita dei lavoratori interni, ancora
del tutto insufficienti rispetto alle esigenze poste.
Buona lettura
FP CGIL Nazionale
Claudio Meloni