Fp Cgil, oltre 1 milione di bambini fuori da asili nido

31 Agosto 2019

Vigilia di apertura ma offerta scarsa, servono investimenti sul personale. Rilanciamo campagna #ChiedoAsilo: perché l’asilo nido sia un diritto, per tutte e tutti

Vigilia di apertura delle scuole, ma non per tutti. Sono infatti oltre 1 milione le bambine e i bambini tra zero e tre anni esclusi dagli asili nido. Un’impossibilità dettata da motivi diversi: per scelta delle famiglie ma, soprattutto, perché ‘respinti’, tra una scarsa offerta pubblica, in progressivo definanziamento, e l’esosa richiesta privata. A sottolineare questo dato è una elaborazione della Fp Cgil Nazionale, condotta sui dati Istat relativi all’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia in parallelo con le rilevazioni della banca dati I.Stat, per denunciare “come sia necessario invertire la rotta sugli investimenti sul personale che opera nel settore, attraverso nuove assunzioni, percorsi di riqualificazione e rinnovo del contratto nazionale”.

Entrando nel dettaglio dell’elaborato, che rilancia la campagna della categoria dietro le parole ‘#ChiedoAsilo: perché l’asilo nido sia un diritto e non più un servizio a domanda individuale’, la Fp Cgil riporta come l’Istat abbia censito sull’intero territorio nazionale, per l’anno scolastico 2016-2017, 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia, tra pubblici e privati, di cui 11.017 sono asili nido. Una mole tale da coprire nel complesso circa 354 mila bambine e bambini, in poco più della metà dei casi allocati in posti pubblici, e di cui 320 mila nei nidi.

Numeri che corrispondono al 24% del potenziale bacino di utenza, ovvero 24 posti ogni 100 bambini, ancora ben al di sotto da quel 33% fissato dall’Unione Europea nella (passata) strategia di Lisbona che prevedeva entro il 2010 una copertura pari al 33%.

Esclusi dal ‘diritto d’asilo’ – La stima di oltre 1 milione di bambine e bambini senza ‘diritto d’asilo’, fatta sugli ultimi dati della banca dati I.Stat, si rileva dal totale dei bambini tra 0 e 3 anni presenti sul territorio nazionale nel 2016, ovvero 1.492.020. Nel dettaglio tra 0 e 1 anno erano 479.611; tra 1 e 2 anni 500.649; infine tra 2 e 3 anni 511.760. Essendo i posti disponibili tra nidi pubblici e privati 320.286, le bambine e i bambini senza un posto, fuori dal circuito nidi, sono oltre un milione, per la precisione 1.171.724.
“Raggiungere livelli di copertura più elevati – osserva la Funzione Pubblica Cgil – rappresenta un investimento fondamentale per il Paese in grado di ridurre le profonde disuguaglianze presenti in tutto il territorio nazionale”.

CoperturaLa percentuale di copertura del 24%, come emerge dai dati, è frutto di un territorio molto frastagliato in termini di offerta dei servizi. Netta la divisione tra Nord e Sud, così come tra i capoluoghi di provincia e i comuni più piccoli. In diverse ragioni del Centro-nord, segnala l’Istat, il parametro del 33% è ampiamente superato (Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Provincia di Trento) o prossimo ad essere raggiunto. Nel Mezzogiorno si è ancora molto lontani: in Abruzzo, Molise e Sardegna i posti privati e pubblici superano il 20% delle bambine e dei bambini sotto i tre anni, nelle altre regioni non si raggiunge il 15%. Guardando ai due estremi, i posti variano da un minimo del 7,6% di copertura in Campania a un massimo del 44,7% in Valle D’Aosta. Dati che, osserva la Fp Cgil, “dimostrano come continui ad essere presente una forte e insostenibile sperequazione tra Nord e Sud che richiederebbe investimenti mirati a rafforzare l’offerta di nuovi servizi e nuove assunzioni nel settore”.

Offerta e costi – Quanto al tipo di offerta, sul territorio nazionale sono stati censiti dall’istituto statistico 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia. I posti autorizzati al funzionamento sono circa 354 mila, di cui il 48% privati. Ma soprattutto la spesa dei comuni per i nidi ha smesso di crescere, passando da 1,6 miliardi di euro del 2012 a 1,475 miliardi del 2016. Nonostante ciò la compartecipazione delle famiglie cresce dal 2004 al 2014 passando dal 17% al 20% della spesa corrente impegnata dai Comuni. La spesa media dei comuni a livello regionale varia drasticamente: per un bambino della Calabria i comuni stanziano in media solo 88 euro per i servizi offerti, contro i 2.209 euro del Trentino.

Pubblico e privatoDiminuiscono i nidi gestiti dai comuni a favore di una crescente scelta delle amministrazioni a forme di privatizzazioni o servizi privati puri. L’Istat fa sapere che nel corso degli anni sono diminuiti gli utenti dei nidi comunali a gestione diretta, ovvero con personale del Comune, e aumentate le gestioni appaltate ad associazioni e a enti privati. Nell’anno scolastico 2016-2017 negli asili nido a gestione diretta sono iscritti circa 93.200 bambine e bambini, contro gli oltre 99.700 di 4 anni prima; gli utenti dei nidi appaltati a gestori privati sono aumentati di quasi 3 mila unità. La spesa corrente dei comuni si riduce decisamente, passando dalla gestione diretta a quella indiretta. Nel primo caso il comune spende mediamente 8.798 euro per utente, al netto della quota rimborsata dalle famiglie, nel secondo caso la quota a carico del comune è di 4.840 euro in un anno. Per la Fp Cgil, quindi, “serve un investimento straordinario sull’offerta pubblica, unico elemento di garanzia di un miglioramento anche della qualità dei servizi. Per queste ragioni è prioritario superare i vincoli che ancora oggi impediscono ai Comuni di incrementare l’offerta a gestione diretta”.

Stato del lavoroGli addetti ai servizi socio educativi sono in prevalenza donne, 181.170 lavoratrici a fronte di circa 2 mila lavoratori. Tra le donne il 68% su piano nazionale ha più di 40 anni. Una ricerca della Fondazione di Vittorio, Inca e Fp Cgil ha voluto monitorare lo stato di salute di questa vasta platea di donne e la situazione é tutt’altro che rassicurante nell’intero settore zero-sei. Lavoratrici che, rileva il report, svolgono una professione che le gratifica molto ma che le porta a passare diverse ore con i bambini in braccio o a inginocchiarsi a terra, che devono costantemente relazionarsi con le figure genitoriali, a volte con il rischio di sfociare in un conflitto. Almeno il 50% delle lavoratrici degli asili nido e delle scuole per l’infanzia riscontra la presenza di problemi fisici alla schiena e ha vissuto aggressioni verbali ai loro danni nella relazione con i genitori dei bambini. Sul punto, commenta il sindacato, “negli ultimi anni, il blocco del turn over e l’assenza di investimenti ha prodotto un netto peggioramento delle condizioni di lavoro: è necessario investire sul personale interessato a partire dal rinnovo del contratto”.

Commento della Fp CgilCorriamo il serio rischio che il decisore politico possa pensare che il raggiungimento degli obiettivi sia conseguibile per il semplice effetto del calo demografico, finendo per inseguire invece di contrastare una tendenza pericolosa per il futuro delle nostre comunità. Se non esistono i servizi le famiglie, o meglio le donne, non saranno incentivate a cercare lavoro e a fare nuovi figli, oppure sposteranno nel tempo l’obiettivo riducendo le chance di averne altri.
Bisogna investire risorse sul numero e sulla qualità dei servizi offerti, soprattutto al sud, sulle condizioni sociali delle famiglie e le condizioni lavorative del personale. Per raggiungere la quota del 33% di copertura, come sottolineato in un recente studio del Senato, bisognerebbe garantire risorse per 2,6 miliardi di euro, da tradurre in costruzione di nuovi asili e nell’assunzione di almeno 20 mila docenti nel segmento 0-3.
Necessità impellenti sono l’immissione in ruolo di personale giovane e di servizi sempre più pubblici, garanti di quella qualità di esperienze educative auspicate dalla comunità Europea. Queste sono le ragioni per le quali continuiamo a chiedere un piano straordinario di assunzioni: non può bastare il semplice sblocco del turn over perché ci limiteremmo a registrare i numeri attuali senza nessun incremento dell’offerta. Così come servono investimenti per la riqualificazione e la formazione del personale. Ciò lo si può ottenere a partire dal rinnovo del Contratto collettivo nazionale che deve dare puntuali risposte al settore.
Non è con la video sorveglianza che garantiremo un futuro al paese. Non è possibile che l’unica risposta negli ultimi anni sia quella delle somme stanziate per l’installazione di impianti per la video sorveglianza permanente: la scelta recentemente fatta dal Parlamento è una scelta sbagliata che mina il rapporto di fiducia alla base della relazione tra educatori e genitori, nonché distoglie risorse che potrebbero essere meglio utilizzate. Il sistema integrato e la governance pubblica devono essere garanti di un’istruzione pubblica sin dai primi mesi di vita dei bambini con atti concreti e verifiche costanti. Solo un servizio universale e pubblico è garanzia di qualità.
Il tutto nella consapevolezza che i primi mille giorni di vita di un bambino sono fondamentali. Ogni bambino ha uno “zaino di capacità” presenti sin dalla nascita, una dotazione base indispensabile dove sedimentare le conoscenze che si stratificheranno nella vita: una cultura educativa ricca e piena di stimoli può arricchire in modo esponenziale il contenuto dello zaino. Ciò può non accadere in contesti poveri (sia educativi che economici) sopratutto se lo zaino presenta delle evidenti difficoltà (dalla semplice timidezza, alla disabilità). Il nido e la scuola dell’infanzia, luoghi pensati come contesto denso di stimoli per il bambino, soprattutto perché in presenza di altri bambini, colma le differenze culturali e arricchisce chi é ben fornito di stimoli. Quindi non possiamo permettere che un bambino possa aver più chance solo perché nato in un territorio più fortunato: ogni azione educativa nei primi tre anni di vita ha una ricaduta positiva/negativa in modo esponenziale, così come l’eventuale mancanza di stimoli ed esperienze.

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