Per queste ragioni da mesi i medici stanno scendendo in piazza, a far sentire la propria voce, ad avanzare le proprie legittime rivendicazioni. E continueranno a farlo con un sit-in, giovedì 17 gennaio, di fronte al Ministero della Pubblica Amministrazione e con due scioperi nazionali in cui il personale medico, veterinario e sanitario interromperà le proprie attività lavorative per ben 24 ore, nella giornata di venerdì 25 gennaio e ancora a febbraio, in data ancora da stabilirsi.
Ma quali sono, nello specifico, le loro rivendicazioni?
1. Contratto
Uno su tutti, lo sblocco del contratto, fermo dal 2008, che interessa una platea di 130 mila persone. L’unico contratto della Sanità non ancora rinnovato. Undici anni in cui il costo della vita è aumentato, le condizioni di lavoro peggiorate ma stipendio e diritti per i medici sono rimasti assolutamente fermi.
2. Assunzioni
Altro punto fondamentale della protesta dei medici è lo sblocco delle assunzioni, a partire da tutto il personale precario. Si conta oggi una carenza di ben 7 mila medici. Un quadro che è destinato a peggiorare se non ci si muove immediatamente invertendo questa cattiva tendenza. Infatti si stima che, in prospettiva, si arriverà a breve ad una carenza di 25 mila medici; dato che non tiene conto degli effetti di quota 100. Per lo sblocco delle assunzioni è necessario però prima di tutto sbloccare il tetto di spesa massimo stabilito per il personale sanitario, introdotto nel 2010 dal governo Berlusconi e fissato al dato 2004 ridotto dell’1,4%.
3. Specialisti
Infine, altra importante rivendicazione che tiene in piedi la mobilitazione degli ultimi mesi è la gravissima carenza di specialisti nel mondo della medicina. Quattro in particolare i settori in crisi: ginecologia, pediatria, anestesia e rianimazione e, naturalmente, emergenza-urgenza. In particolare, la carenza di specialisti in emergenza-urgenza porterà sempre più ad una grave criticità nei pronto soccorso. Sono ben 3 mila gli specialisti che oggi dovrebbero far ingresso nel mondo della medicina per colmare queste carenze. Di questi 3 mila, il governo ne ha finanziati solo 900.
La riduzione di personale e di specialisti ha portato nei casi peggiori alla necessità di chiudere degli ospedali di comunità dove non c’era più copertura per i pronto soccorso: è quello che è accaduto in Veneto, e che rischia di succedere a Parma. Ma per invertire la rotta e dare seguito ad ognuna delle rivendicazioni dei medici è necessario, prima di tutto, investire adeguatamente sul sistema sanitario nazionale. Negli ultimi anni infatti la sanità non è stata valorizzata come doveva, basti pensare che la spesa sanitaria è scesa dall’8% al 6,5% del Pil.