Un incontro dovuto al cambiamento sociale, ancor prima che politico, che si respira nell’aria. Per la prima volta i sindacati di alcuni paesi europei si sono incontrati con Epsu, il sindacato europeo dei servizi pubblici, e Psi, quello mondiale per un momento di importante confronto sul tema. L’incontro è avvenuta a Melilla, nella enclave spagnola in Marocco, famosa, insieme a Ceuta, per il muro (la Valla) di 12 km, e alto 6 metri, finanziato dall’Unione Europea.
Un progetto che, come ha spiegato Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil, “ha come obiettivo quello di costruire una rete coordinata di solidarietà e di intervento che risponda anche alle politiche sbagliate che l’Unione Europea sta facendo sui migranti. La via maestra è dare qualità alla contrattazione e ai rapporti di lavoro di chi opera all’interno di questa vasta rete”.
Un dibattito di fondamentale importanza in un momento storico particolarmente delicato, che pone al centro il tema dell’immigrazione. Incontro atteso e auspicato dopo i fatti di cronaca che tutti conosciamo, a partire dal caso della nave Aquarius, finalmente sbarcata a Valencia, in Spagna. Ma l’azione sindacale non basta, c’è bisogno di una forte iniziativa politica che riportino l’accoglienza e l’inclusione al centro del processo europeo.
Solo il primo di una serie di appuntamenti che tengano sempre acceso un faro sulla questione immigrazione e sulla rete della solidarietà. Per questo il 26, 27 e 28 settembre la Funzione Pubblica Cgil si ritroverà a Palermo per proseguire il dibattito, con una iniziativa nazionale sul Lavoro nei Servizi Pubblici all’Immigrazione, nell’ambito del progetto sindacale europeo di Fp Cgil, Fsc Comisiones Obreras ed EPSU “Un progetto europeo per Lavoratrici e lavoratori dei servizi pubblici ai migranti”.
In questo panorama culturale e sociale, e grazie al confronto avvenuto a Melilla tra alcuni dei paesi europei, sono emerse criticità e rivendicazioni legate al fenomeno dei flussi migratori. In una risoluzione sottoscritta nell’occasione dai sindacati dei servizi pubblici di Italia, Spagna, Grecia, Francia e Regno Unito, con Epsu e Psi, si richiede che “si ponga maggiore attenzione alle condizioni in cui operano le lavoratrici e i lavoratori che rendono possibile la rete della solidarietà”, e che sono soggetti ad un’elevata precarietà che non garantisce di offrire aiuti umanitari di qualità.
Guardando poi al fenomeno in sé e al clima di odio e intolleranza, che si diffonde a macchia d’olio nel nostro paese, è di fondamentale importanza, come si legge nella risoluzione di Melilla, “difendere i valori democratici dell’Unione Europea, sostenere il lavoro di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, in linea con la legislazione internazionale sul salvataggio in mare”. Ma anche “tutelare il diritto di asilo, elemento centrale delle politiche di accoglienza, che si basi sulla solidarietà e la dignità delle persone e opporsi alle politiche anti-immigrazione, razziste, xenofobe che stanno prendendo piede”.
Ma tutto questo non basta. Le lavoratrici e i lavoratori non possono essere lasciati soli ad affrontare questo fenomeno. “È necessario intervenire sull’efficienza della rete di accoglienza, modificando il sistema di Dublino, che pesa in maniera sproporzionata sui paesi delle frontiere esterne e che lascia soli questi paesi – si legge nella risoluzione di Melilla – e ricercando soluzioni che permettano un autentico sistema di integrazione”.
Per inquadrare il fenomeno, analizziamo i dati.
Dal 2014 al 2017 ogni anno sono sbarcati in Italia più di centomila migranti; nei primi cinque mesi del 2018 ne sono arrivati solamente 13mila per effetto del decreto Minniti-Orlando.
Nello stesso periodo sono arrivate via mare circa 623mila persone. Unico precedente in Europa è quello della Grecia che fra 2015 e 2016 ha accolto un milione di persone arrivate via mare.
In Spagna, invece, nel 2017 gli arrivi sono aumentati del 101% rispetto all’anno precedente: 28.349 migranti accolti contro i 14mila dell’anno precedente.
Da gennaio a marzo 2018 la Spagna ha accolto 5mila migranti (di cui 2.385 arrivati via mare e 1.615 arrivati via terra).
Il piano elaborato nel 2015 dalla Commissione Europea per trasferire alcune categorie di richiedenti asilo da Italia e Grecia verso altri paesi dell’Unione non ha funzionato: dei circa 160mila richiedenti asilo solo l’Estonia ne ha accolti 6, la Bulgaria 10, l’Austria 43, mentre Ungheria, Slovacchia, Danimarca, Repubblica Ceca e Polonia non hanno accolto nessun richiedente asilo.
In Italia una domanda di protezione internazionale viene risolta in due-tre anni.
Nel 2017 ha ricevuto 126mila richieste di protezione internazionale, un numero quasi esattamente sovrapponibile alle persone sbarcate via mare. Significa che le richieste sono state 2.089 ogni milione di abitanti.
Alla fine del 2017 le persone che godono di una forma di protezione internazionale sono circa 147mila, mentre quelle ancora in attesa e ospitate nelle strutture di accoglienza possiamo stimarle in circa 180mila.
Ci sono circa 600mila stranieri irregolari a cui è scaduto il permesso di soggiorno, o a cui è stata respinta la richiesta di asilo, mentre gli stranieri regolari sono poco più di 5 milioni, cioè l’8 per cento.
L’Austria invece nel 2017 ha ricevuto 2.526 richieste di protezione internazionale ogni milione di abitanti, la Svezia 2.220 ogni milione di abitanti e la Germania 2.402 ogni milione di tedeschi.
“L’Italia non sta subendo una invasione – spiega il sindacato -, i suoi problemi derivano dal modo in cui è stato gestito il flusso migratorio di questi anni: non esiste un sistema di accoglienza integrato, le politiche europee hanno fallito, da Dublino alla relocation. C’è una sostanziale arretratezza culturale nel non comprendere che il fenomeno migratorio è continuativo e non episodico”.
Il perno del nostro sistema di accoglienza è lo SPRAR “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”. Dal 2014 si dà vita ai CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), strutture emergenziali ma che in realtà rappresentavano fino allo scorso anno il 78% di tutte le presenze e circa 7mila strutture organizzative.
Con la legge n.46 del 13 aprile 2017 ci sarà un allargamento della rete dei Centri per il Rimpatrio e gli attuali Centri di identificazione ed espulsione (Cie): si chiameranno Cpr, Centri permanenti per il rimpatrio. Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni regione.
Il 67% degli europei afferma di essere a favore di una politica europea comune in materia di migrazione, ma quasi sei europei su dieci (58%) sono favorevoli alla migrazione di sole persone appartenenti ad altri Stati membri dell’UE.
A luglio 2017 Oxfam ha diffuso il rapporto “L’inferno al di là del mare”, assieme a Borderline Sicilia e MEDU (Medici per i Diritti Umani). Una fotografia della violazione sistematica dei diritti dei migranti in Libia in cui l’84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani tra cui violenze brutali e tortura, il 74% ha dichiarato di aver assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l’80% di aver subito la privazione di acqua e cibo e il 70% di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali.
Con l’appuntamento di Palermo, 26-27-28 settembre, prosegue il nostro impegno per mantenere viva l’attenzione su un tema tanto importante quanto delicato, quello della rete della solidarietà.