LA VERGOGNA DEL BANDO
CONSIP SUL COLOSSEO
Non a caso il nostro monumento più visitato ha
dato la cifra delle cosiddette riforme di Franceschini: il Colosseo è diventato
spesso il simbolo di attacchi ignobili ai lavoratori, attacchi culminati nel
famigerato decreto che ha tolto le libertà costituzionali sul diritto di
sciopero, per poi finire a diventare la preda più ambita della riorganizzazione
in salsa franceschiniana, con l’ultimo blitz in legge di stabilità che di fatto
ha finito per smantellare uno dei sistemi di tutela del patrimonio archeologico
più importanti ed efficaci del mondo, tramite uno smembramento progressivo che
si è concluso appunto con l’operazione “Parco del Colosseo Palatino”,
la prefigurazione di un nuovo parco divertimenti nel centro di Roma da affidare
alle mani fidate di qualche direttore manager scelto ad uso e piacimento della
parte politica che dovrà assicurare chissà quali profitti alle casse dello
Stato. Un progetto strategico, il cuore della cosiddetta riforma, con
l’obiettivo di trasformare questo sito, ormai visitato da un numero
spropositato di visitatori, nel polo di attrazione modello Disneyland.
A corredo di questa operazione naturalmente la
prevista costruzione della pedana, con la bellezza di 18 milioni di euro
stanziati, e adesso un bel bando Consip che mette a gara la bigliettazione, per
la modica cifra di 33 milioni di euro in 2 anni, e i sistemi di sicurezza
tutti, anche questi al misero costo di 12 milioni di euro il biennio.
Un bando che grida vendetta sotto
tutti i punti di vista.
Vediamo: i due lotti sono del tutto separati e
le specifiche richieste non possono certo consentire l’integrazione dei servizi
in concessione prevista dall’art. 115 del Codice dei Beni Culturali. Già, il
Codice, questo sconosciuto. Nel bando non se ne trova uno straccio di
riferimento, come se l’appalto non riguardasse l’area archeologica centrale
romana ma un qualsiasi edificio pubblico.
Le specifiche tecniche previste sono quasi
paradossali: per 6 milioni di euro l’anno il nuovo Parco Disneyland avrà un
sistema di sorveglianza degno di una base Nato: droni, unità cinofile, sistema
autonomo di controllo per la vigilanza interna/esterna, controlli ai varchi
degni di quelli aeroportuali. Insomma una blindatura militarizzata di un pezzo
di territorio situato al centro di Roma che sancisca la divisione anche fisica
del Parco dal restante patrimonio archeologico. Le Terme di Caracalla, giusto
per fare un esempio, non saranno interessate da questa operazione da caschi
neri della cultura, perché non rientrano nel progetto Disneyland.
Con questo il Ministro sfata un altro tabù, con
buona pace dell’art.18 del Codice che affida la sorveglianza dei siti alla
diretta gestione del Ministero. Per la prima volta tutta la vigilanza viene
esternalizzata, fatto mai avvenuto nemmeno con i peggiori governi ed i peggiori
Ministri ed affidata a ditte esterne specializzate che operano esclusivamente
sul settore della sicurezza. Un bel record, complimenti!
Non mancano anche altre “sviste”: ad
esempio il bando non contiene alcuna previsione di clausola sociale, malgrado
gli impegni assunti solennemente dal Ministro con le categorie del Commercio
non più di un anno fa.
Infine pare proprio curioso che si spendano
tutti questi soldi per garantire la sicurezza ad un’area delimitata e gli altri
siti funzionano con i volontari ad aprire le sale (vedi l’inarrivabile di
Galleria Borghese sempre alle prese con le sue ricche feste e cotillons),
oppure si arrangiano con sistemi di sicurezza in gran parte obsoleti e spesso
malfunzionanti, oppure affidando ad ALES interi settori del Museo Archeologico
di Napoli e della Reggia di Caserta.
Eccola l’essenza del progetto di riforma: in
questa operazione fantasmagorica sparisce del tutto, tranne che nelle
dichiarazioni programmatiche del ministro, il famoso patrimonio diffuso che si
avvia, nella logica dei Poli regionali, ad una progressiva ulteriore
marginalizzazione dai giri che contano.
Nella lettera unitaria che vi alleghiamo
chiediamo al Ministro di fermare questo bando: è illegittimo in quanto non
prevede alcuna prescrizione riferita al Codice dei Beni Culturali, è odioso in
quanto non ci sono clausole di garanzie per i lavoratori delle società
concessionarie che attualmente operano in quell’area, è un precedente
pericolosissimo perché per la prima volta sgancia l’attività di tutela da
quella della vigilanza e la configura come un settore a sé stante in mano a
ditte private, è uno sperpero di risorse che potrebbero essere utilmente
utilizzate per altri scopi (il neonato Parco dell’Appia conta su un misero
budget di 1 milione e rotti di euro, non ha sede e non ha personale, giusto per
fare un esempio).
E certo questo è un precedente che noi non
possiamo accettare: la scadenza di questo bando è stata opportunamente rinviata
alla fine di maggio, ci auguriamo che questo tempo possa servire ad un
opportuno ripensamento sulla qualità di questa operazione. Noi in ogni caso ci
opporremo, se necessario con la mobilitazione dei lavoratori e della società
civile che ha a cuore il nostro patrimonio.
L’ultima riflessione riguarda la
riorganizzazione romana, o meglio il caos romano. Pendono in questa situazione
comportamenti incredibili e pretese che adesso non stanno né in cielo né in
terra. Occorre procedere per gradi, avere un piano di riallocazione logistica
che individui sedi funzionali ai nuovi Istituti, occorre garantire certezze ai lavoratori
alle prese da lungo tempo con assegnazioni provvisorie e tirate per la giacchetta. Invece assistiamo a
tentativi di sfratto di Uffici senza sede, al prolungamento infinito di una
fase transitoria e del caos gestionale. Ci chiediamo cosa faccia in tutto
questo la DG Musei, sinora nota solo per avere usato il Codice Etico come
pistola fumante e per essersi beccata una condanna per comportamento
antisindacale, avendo ispirato la brillante strategia che poi ha portato alla
sentenza di Cuneo. E ci chiediamo infine, a fronte di un contesto così
dequalificante, a cosa possa servire la famosa commissione paritetica di
monitoraggio della riforma, se non si riesce nemmeno a censire dove prestano
servizio i lavoratori e se le decisioni strategiche passano tutte sopra la
testa. Forse a tenerci buoni buoni?
Roma, 31 marzo 2017
Claudio Meloni
FP CGIL Mibact