COMUNICATO
L’eco
delle polemiche in salsa nazionalista sulle nomine ai musei autonomi non si è
ancora spento e ha travolto ogni ragionamento serio sulla disastrata condizione
organizzativa del Mibact.
Polemiche
che noi troviamo inutili e speciose, oltre che strumentalmente utilizzate a
seconda dell’appartenenza politica, per rivendicare impropri meriti di
rinnovamento o per difendere l’italianitá dopo avere affossato con tagli
micidiali il bilancio del ministero. Il solito teatrino all’italiana, utile a
discutere sotto gli ombrelloni, del tutto inconcludente e fuorviante rispetto
ai veri passaggi critici che hanno contraddistinto le scelte governative sul
Mibact in questo periodo, ovvero la distribuzione dei fabbisogni professionali
sul territorio e la cosiddetta riforma Madia.
Sulla
questione delle nomine noi vogliamo semplicemente sottolineare due aspetti:
il primo
concerne i criteri assolutamente discrezionali previsti dalla legge, che
sostanzialmente definiscono un marketing di accesso alle nomine pubbliche ormai
quasi del tutto affidato al potere discrezionale della politica. Noi non
crediamo affatto che la scelta dei dirigenti di seconda fascia non abbia avuto
il placet politico e non lo crediamo proprio per l’impatto mediatico che si è
voluto dare a questa vicenda. Questo modo di procedere, aiutato da norme ad
hoc, non fa altro che legittimare uno dei fattori più evidenti del declino dei
servizi pubblici, ovvero un intreccio tra politica e amministrazione che sempre
più spesso purtroppo affiora nelle cronache nei suoi effetti più degenerativi.
L’altro
aspetto è senz’altro la rinnovata mortificazione del patrimonio professionale
interno, quasi totalmente escluso dall’accesso a queste nomine, segno di una
sfiducia evidente e conclamata dalle roboanti dichiarazioni del Ministro, tanto
evidente quanto ingiustificata e punitiva. Non è vero che all’interno non si
potevano trovare risorse adeguate e non si poteva procedere effettivamente ad
un vero inizio di rinnovamento di una classe dirigente ministeriale vecchia,
sclerotizzata e autoreferenziale. Insomma, un’altra occasione persa dal
Ministro per rinnovare un patto di fiducia con i suoi lavoratori.
Detto
questo noi sinceramente auguriamo ai neo nominati buon lavoro, non siamo
abituati a scegliere le controparti e confrontare curriculum. Certamente non
mancheremo di valutare il loro lavoro, sperando che non si risolva in
improvvide dichiarazioni come quelle del neo direttore degli Uffizi, che
ribadisce pratiche discutibili di utilizzo del patrimonio culturale in perfetta
linea di continuità con la gestione precedente dell’ex Polo Museale, altro che
rinnovamento.
Le
questioni vere, richiamate da pochi intellettuali seriamente impegnati nella
difesa del patrimonio culturale, sono altre e le elenchiamo perché saranno
parte importante della nostra iniziativa alla ripresa post feriale:
La
distribuzione degli organici.
Sbaglia
chi ritiene che questa sia una operazione improvvisata e superficiale. Siamo in presenza di un lavoro serio di
analisi dello stato degli organici e di scelte conseguenti indirizzate sulla
base degli indirizzi politici della riforma. Scelte coscienti e per questo, se
possibile, più preoccupanti. Quello che
di conseguenza emerge e si santifica è un indebolimento strutturale delle linee
di tutela sul territorio. Dalla periferia arrivano segnali allarmanti di una
sottovalutazione delle necessità afferenti alla tutela nelle sue varie
esplicazioni organizzative che non fanno altro che confermare le critiche che
abbiamo più volte espresso sull’impianto della riforma. Non è possibile
separare tutela dalla valorizzazione,
questo non è un assioma ma una constatazione. Così come non è possibile
non immaginare e programmare un piano serio di investimenti pubblici sul
settore, gli stessi musei autonomi
partono senza risorse significative e si affidano al buon cuore dei sempre rari
mecenati, alle paturnie dei ricchi in cerca di posti prestigiosi ove cenare,
alla spettacolarizzazione degli eventi che non hanno un minimo di riferimento
culturale. Tra questi uno dei problemi principali è certamente quello
occupazionale e certo fa piacere leggere commenti autorevoli, come quelli di
Settis e Montanari, che legano esplicitamente le possibilità di rilanciare una
seria politica occupazionale alle possibilità stesse di sopravvivenza di un
servizio pubblico di tutela del patrimonio culturale.
Questioni
che riguardano la necessità del mantenimento di una gestione pubblica del
nostro patrimonio ormai non possono prescindere da questo e la consolidata
consapevolezza sociale del problema è per noi una straordinaria occasione che
darà linfa e qualità alle nostre rivendicazioni.
Che sono
ancora tutte aperte e riguardano peraltro la questione salariale ed il
necessario riconoscimento professionale dei lavoratori, punti integranti dello
stato di agitazione in atto.
Su questo
contesto incombe come una mannaia la riforma Madia, che può diventare la tomba
del ministero. Non ci convince chi ha tentato di minimizzarne gli effetti,
magari facendo leva sulle note debolezze dell’apparato ministeriale: questa
riforma è incoerente persino con la riforma che il Ministro ha voluto ed
attuato e non se ne comprende ratio e finalità che non siano quelle di un forte
accentramento burocratico-centralista, con buona pace del federalismo
sbandierato per decenni prima di affidarlo alla ex propaganda leghista in stile
bossiano. Oltre ad intervenire come fattore ulteriormente destrutturante sui
procedimenti di tutela tramite la logica del silenzio-assenso.
L’autunno
sarà pertanto molto caldo e per noi c’è un problema di tutela del lavoro nei
beni culturali che compone il problema della tutela dei sacri principi
contenuti nell’art.9 della Costituzione e ci vedrà parte integrante del fronte
che intellettuali, costituzionalisti e
cittadini che hanno a cuore il nostro patrimonio culturale stanno costruendo
per contrastare questo disegno.
Roma, 23 agosto 2015
FP CGIL
MIBACT
Claudio
Meloni