Roma, 28 luglio 2015
Ha grandi ragioni il prof. Montanari nel suo
bell’articolo pubblicato sul blog di Repubblica
–http://articolo9.blogautore.repubblica.it/2015/07/26/pompei-il-governo-e-la-propaganda/
– quando definisce quanto avvenuto l’altro giorno a Pompei una messa in scena
mediatica con il chiaro obiettivo di denigrare i lavoratori del Ministero.
Perché il Ministro Franceschini danni incalcolabili li ha certamente prodotti:
il primo, assai evidente, a livello mondiale che ha esposto ancora una volta
uno dei nostri siti più importanti al pubblico ludibrio (ci risulta che la
notizia ha bucato i media mondiali, persino in Australia), a dispetto anche
degli sforzi notevoli che pure sono stati fatti, tra errori organizzativi e
ritardi, per rimettere in piedi un sito degradato da un quindicennio di politiche sbagliate e
miopi.
Il secondo perché ha ancora una volta buttato in
pasto all’opinione pubblica i lavoratori, creando un fossato con gli stessi.
Intendiamoci, a noi non interessa dissociarci dall’assemblea di Pompei, per il
semplice fatto che noi quell’assemblea non l’abbiamo indetta e di conseguenza
non vediamo da cosa dissociarci. E in ogni caso da tanto tempo ormai abbiamo
espresso la nostra ferma contrarietà all’utilizzo delle assemblee in termini
interdittivi e non per discutere con i lavoratori dei loro problemi.
Noi invece rivendichiamo la giornata nazionale
di lotta, che ci ha unitariamente visto in tutta Italia impegnati in sit in
davanti le sedi del MEF, per protestare contro l’inaccettabile ritardo nel
pagamento del salario accessorio ed il prossimo taglio previsto in legge di assestamento
che conta di recuperare dalle tasche dei lavoratori e senza alcuna
giustificazione giuridica la bellezza di 80 milioni di euro, tramite un
intervento sulle quote variabili dei Fua ministeriali. Sulle motivazioni di
questa mobilitazione il Ministro, troppo impegnato a misurare il danno
incalcolabile di Pompei, non ha ritenuto di dare uno straccio di commento,
preferendo ancora una volta suscitare un caso mediatico, in un gioco cinico
concepito col chiaro scopo di indurre l’opinione pubblica ai soliti insulti e
all’odio sociale verso i lavoratori del Ministero.
Così come nulla ha detto nel corso del pessimo
incontro, se non per giustificare, con motivazioni francamente risibili, scelte
governative cervellotiche e penalizzanti che arrivano nel momento delicatissimo di una riforma in atto,
su cui lui pubblicamente dichiara la scommessa strategica, salvo poi venirci a
dire che i tagli vanno rispettati, che ci sono le leggi da rispettare, manco
gli avessimo chiesto di fare il giacobino. Noi veramente gli chiediamo solo di
legiferare per cambiare norme sbagliate, punitive e controproducenti. E siamo
così estremisti da chiedere investimenti anticiclici sulla cultura, seguendo un
indirizzo keinesiano che pure avrebbe dovuto uniformare una prassi riformista.
E
così corporativi da pretendere il pagamento di spettanze dovute da novembre
scorso e che non vengano tagliati i fondi per la produttività, se si vuole la produttività.
Abbiamo chiesto al Ministro di spiegarci la
coerenza della sua riforma con quella prevista dalla riforma Madia, come si
uniforma uno schema faticosamente individuato con uno nuovo che prevede come
minimo una redistribuzione dei poteri dello Stato sul territorio. Se veramente
il riformismo che questo governo esprime è quello di definire la presenza
pervasiva dei prefetti in tutti i servizi pubblici.
La minimizzante risposta non ha fatto altro che
allarmarci ancora di più, perché il
famigerato articolo 7 in sostanza consente al Governo di fare e disfare a
piacimento, tramite i prefetti che possono dirigere, coordinare e addirittura
sostituire i dirigenti delle amministrazioni confluite.
L’altro aspetto sono i tempi inaccettabili di
pagamento, dovuti solo ai tempi dilatati di registrazione degli impegni
economici e di certificazione degli accordi, su cui ci si aspettava una
dichiarazione di sostegno e di impegno. Invece nulla, e di converso mani libere
al Presidente del Consiglio e al Mef per levare soldi alla produttività di cui
conosciamo la reale necessità per il Mibact.
Solo il rilievo alla nostra
presunta rigidità a modificare l’accordo sulle 11 ore, quando il vero problema
è stato ed è il continuo tentativo, da parte sempre degli organi di controllo,
di disapplicare un contratto integrativo sicuramente tra i più produttivi sulla
base della ideologia della performance.
Questi, care compagne e cari compagni, sono i motivi alla base della decisione di
rompere le relazioni sindacali.
E questi motivi ci inducono a dare continuità
alla mobilitazione nelle forme che devono sottrarre i lavoratori dal giogo
mediatico: la nostra protesta ha interlocutori che non sono certo i cittadini e
la vicenda di Pompei dovrebbe essere di esempio ai teorizzatori delle chiusure
come forma di lotta. Dubitiamo che lo sia, ma
siamo certi che la maggioranza dei lavoratori è convinta, come noi, che
sia il tempo di lottare perché il Ministero esca dal suo declino, perché cresca
la consapevolezza tra i cittadini che è il lavoro a garantire la fruizione del
patrimonio culturale, che la vicenda di
Pompei ha la sua giustificazione nell’abbandono progressivo delle funzioni di
tutela di quel sito, che la conflittualitá interna è conseguenza e non
causa, che non c’è solo Pompei, c’è un
patrimonio ben tutelato e che lo Stato, tramite i lavoratori e non certo i
politici, è riuscito persino a valorizzarlo, basta vedere le statistiche
annuali.
Infine, per quanto riguarda la vertenza sul
salario accessorio, se dovesse essere confermato il taglio e non dovessero
arrivare i pagamenti, non esiteremo a ricorrere ad ogni strumento legittimo e
appropriato per evitarlo, compreso lo sciopero, e certo in quel caso non ci
faremo intimidire da strumentali ed offensivi attacchi.
Claudio
Meloni
FP CGIL
Nazionale