Finalmente stiamo per riuscire a comprendere chi vuole firmare l’accordo e chi invece lo rifiuta, domanda che non avrebbe dovuto neanche essere posta, chi può volere un contratto peggiorativo del precedente ancora in essere?
Non un contratto ma un capestro. Questa la sostanza delle proposte dell’Amministrazione. In breve le “novità”:
1. aumento dell’orario di lavoro da 36 a 38 ore settimanali;
2. non completa pensionabilità della quota parte dell’art. 18;
3. non vi è un “vero” aumento salariale;
4. obbligo per chi aderisce alla “fascia base” di aumentare l’orario di servizio;
5. erogazione a discrezione del dirigente della restante quota dell’art. 18 che torna nel FUP;
6. riproposizione dei “Progetti finalizzati” che sono in contrasto con la struttura stessa in quanto questa, la PCM, non eroga servizi ma è “servente” del Governo.
Inoltre, ribadiamo che si tratta di un contratto che non affronta problematiche della massima importanza per il personale tutto:
1. nessun accenno a riguardo dei passaggi dalla II alla III Area;
2. nessun tavolo sulla mobilità, per affrontare degnamente il problema dei comandati;
3. nulla in merito ai precari presenti in PCM e soprattutto al DPC;
4. si ignorano consapevolmente e colpevolmente le problematiche del CIPE, dello Sport e del Turismo, che devono essere ricompresse in questo Contratto;
5. utilizzo dei dirigenti risultati idonei al posto di quelli che sono stati nominati sul “campo” il che consentirebbe notevoli risparmi sulla finanza pubblica.
Non vi è molto da commentare: tutto ciò è in linea con il progetto del Governo di individuare nel dipendente “pubblico” il cancro stesso della P.A.. Un progetto che più volte e da tempo abbiamo rifiutato e denunciato. Tale politica è in contrasto con chi vorrebbe, al contrario, raggiungere l’armonizzazione e l’ottimizzazione della P.A. e dei servizi che essa eroga; infatti, tali misure hanno l’unico effetto di ottenere titoli sui giornali contro gli odiati “fannulloni di Stato” ma, di fatto, lasciano le cose come stanno: anzi, finanche peggiorandole. Nessun accenno, per esempio, sulle esternalizzazioni che succhiano denaro dell’erario e che hanno come unici effetti di produrre precari sottopagati (un precario che lavora per conto di società che lavorano a loro volta per sociètà che hanno appalti con la P.A. costa, mediamente, molto di più che se fosse direttamente a carico dell’Amministrazione) e di demotivare il personale di ruolo escludendolo dal ciclo “produttivo”, non aggiornandolo, non facendolo crescere professionalmente, in una parola, rottamandolo in nome di una “efficacia ed efficienza” tutta da dimostrare.
Nessun accenno a riguardo di una possibile e draconiana riduzione delle legioni di consulenti che popolano la P.C.M.. L’abolizione degli “incarichi di studio” per dirigenti non impiegati nelle strutture della P.C.M., incarichi che non “producono” ma “consumano”.
La FP-C.G.I.L. non può non avversare tale strategia che, attraverso la penalizzazione sia economica e professionale dei lavoratori, vorrebbe trasformare la Pubblica Amministrazione in una sorta di agenzia di servizi privata e gli utenti/cittadini in “clienti”.
La FP-C.G.I.L. denuncia, come tentativo di creare un precedente, l’aumento arbitrario dell’orario di lavoro. Un pericolosissima premessa che potrebbe essere estesa a tutta la P.A. “manu militari” ignorando i passaggi istituzionali come stabilito da legge. Introducendo, infine, il concetto che “lavorare di più significhi lavorare con maggiore qualità”.
Infine, la FP-C.G.I.L. della Presidenza del Consiglio, ormai rappresentativa ma ancora impossibilitata a partecipare alle trattative, non aderirà mai a questo contratto, che qualcuno, forse, in cambio di qualcosa, vorrebbe propinare al personale.
Roma, 8 aprile 2009
p. FP–CGIL PCM
Gianni Massimiani