Educatrice della C.R. di Volterra aggredita in Istituto

18 Luglio 2011

Educatrice della C.R. di Volterra aggredita in Istituto.

Roma,28.11.2007

Al Sottosegretario
Ministero della Giustizia
Prof. L. Manconi

Al Capo del DAP
Pres. E. Ferrara
e,per conoscenza
Ai Vice Capo del DAP
Dr. E. di Somma
Dr.A. D’Alterio

Al Direttore Generale
del Personale e della Formazione
Dr. De Pascalis

Al Provveditore DAP
D.ssa M.Pia Giuffrida

All’Ufficio per le Relazioni Sindacali
Dssa P. Conte

Oggetto: Educatrice della C.R. di Volterra aggredita in Istituto.

Siamo venuti a conoscenza di un gravissimo atto di aggressione avvenuto il 23 novembre u.s. cui è stata vittima l’Educatrice della Casa di Reclusione di Volterra nei confronti della quale, durante il normale espletamento del compito istituzionale, un detenuto pare abbia infierito con estrema violenza.
Esprimiamo forte solidarietà alla lavoratrice che ci risulta ne avrà per trenta giorni e condanniamo con fermezza l’accaduto che assume, a nostro parere, connotazioni ancora più inquietanti in quanto si è consumato in un contesto istituzionale e lavorativo che pur chiamando tutti i lavoratori a svolgere il loro mandato istituzionale, non garantisce, per la sua peculiarità e complessità, gli standard di sicurezza, che gli interventi professionali richiedono.
In tal senso crediamo che l’ottimizzazione dell’organizzazione passa attraverso l’incremento delle risorse strutturali (organico in primis) necessarie alla sua efficienza e a rendere efficace il suo mandato istituzionale che nello specifico, assunto ormai da tempo, si esplica nell’equilibrio operativo e culturale della dicotomia sicurezza e trattamento.
E’ evidente, a questo punto – e non possiamo esimerci dal denunciarlo- che l’episodio evidenzia una grave situazione di disagio operativo che risulta stia attraversando l’area pedagogica della Casa di Reclusione di Volterra, dove risulta in servizio solo l’educatrice aggredita. Tale disagio pare essere stato rappresentato ai vertici dell’amministrazione che, forse, sottovalutandone la gravità è degenerato nell’episodio in questione.
Non intendiamo, certo, esprimere considerazioni avventate in merito al fatto che, di per sé, esprime tutta la sua gravità ma, intendiamo, questo si, invitare l’amministrazione, ad alcune riflessioni che la questione induce a fare.
Ad esempio: quanto si è investito, negli ultimi dieci anni, in termini di risorse nell’area “cosiddetta” pedagogica degli istituti penitenziari?
In tal senso è ben nota – e più volte denunciata da questa O.S.- la grave carenza di organico di educatori, psicologi e di tutte quelle professionalità cosiddette tecniche, esperte del trattamento.
Riteniamo necessario riprendere, con determinazione, quel dibattito e quel confronto sull’esecuzione penale, sul trattamento intramurario, sul significato dell’intervento pedagogico nell’istituzione carceraria e delle opportunità trattamentali offerte dall’istituzione con il dettato normativo di riferimento, tematiche che hanno positivamente caratterizzato il settore ma che paiono oggi prevaricate da scelte politico-amministrative poco condivise che evidenziano nel concreto una sorta di regressione culturale e politica dell’intero sistema penitenziario.
E’ innegabile infatti che dal silenzio assoluto e dall’indisponibilità offerta nelle precedenti gestioni, ancora poco si sia offerto in quella attuale in termini di proposte e potenziamento dell’operatività negli istituti: i concorsi per educatori sono fermi, le aree pedagogiche sono organizzate con numeri insufficienti ma su standard di efficientismo manageriale, le segreterie tecniche non sempre presenti, con sovrapposizione di mansioni, impoverimento di contenuti quando non, come nel caso di Volterra, di vita professionale.
Dove sono i contenuti pedagogici di una professione schiacciata fra l’esigenza di sicurezza, garantita dalla presenza degli operatori di polizia penitenziaria e quella trattamentale, delegata esclusivamente ai più numerosi e accreditati volontari, cooperative, enti territoriali?
E che dire dell’idea, sempre più confusa, ambigua e palesemente strumentale, che in questa improvvisazione trattamentale la polizia penitenziaria, superando quanto prescritto dalla norma di riferimento,vada sempre più coinvolta in compiti che rischiano di sostituire o addirittura prevaricare quelli peculiari e specialistici dell’intervento pedagogico cui è demandato la figura professionale dell’Educatore?
Crediamo davvero che la lenta sparizione della professionalità trattamentale penitenziaria non giovi al processo di democratizzazione delle carceri, sempre più messo in discussione dal sensazionalismo scatenato a livello politico e sociale.
Crediamo dunque che, se non si interverrà per tempo con espressioni serie e concrete da parte di codesta Amministrazione, anche le carceri italiane registreranno il lento processo involutivo dilagante nella società.
Nel ribadire la necessità di un urgente incontro, in attesa di riscontro, inviamo distinti saluti.

Il Coordinatore Nazionale
Penitenziari C.M.
Lina Lamonica

 

 
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