Corte dei Conti: spesa previdenziale

18 Luglio 2011

Spesa previdenziale

     
Approfondimento, elaborato da un iscritto CGIL della Corte dei conti, su quanto emerso in un convegno organizzato dall’Università “La Sapienza” sulla spesa previdenziale.


Corte dei conti

SPESA PREVIDENZIALE

Secondo quanto emerge dal ‘Rapporto sullo Stato Sociale 2010’, indagine (giunta quest’anno alla sua ottava edizione) realizzata e promossa dal dipartimento di Economia Pubblica dell’università ‘La Sapienza’ di Roma e dal Centro di ricerche interuniversitario sullo stato sociale (Criss) “la presunta anomalia della spesa pensionistica italiana, che sarebbe eccessiva, è creata dalle disomogeneità statistiche presenti nei dati Eurostat che alterano i confronti.

Secondo questa indagine, in Italia la spesa pensionistica include delle voci che non hanno assolutamente niente a che vedere con le pensioni, quali il trattamento di fine rapporto (che incide per un importo paro all’1.3% del PIL) e il costo dell’accompagnatore per gli invalidi. Inoltre le pensioni in Italia sono soggette alla normale tassazione IRPEF, equivalente al 3.5% del PIL, mentre in altri paesi o non sono tassate o godono di trattamenti particolarmente favorevoli.

Effettuando accostamenti omogenei, e procedendo quindi a detrarre dalla spesa pensionistica il trattamento di fine rapporto, le indennità di accompagnamento e la tassazione IRPEF, l’Italia perde il primo posto nella spesa sulle pensioni pubbliche fra i paesi OCSE e l’incidenza della spesa previdenziale sul Pil diventa minore di quella tedesca e si allinea a quella media della Ue a 15″.

Secondo lo studio della Sapienza, inoltre, “la serie di riforme del sistema pensionistico avviate dal 1992 hanno raggiunto l’obiettivo di stabilizzarne la spesa”. Tuttavia “è sensibilmente diminuito il grado di copertura: un lavorare dipendente a tempo indeterminato che andrà in pensione con 65 anni d’età e 35 di contributi, raggiungerà un tasso di sostituzione di circa il 58 per cento; per un lavoratore parasubordinato il tasso sarà del 43 per cento”. In questo senso “la progressiva riduzione dei tassi di sostituzione può essere compensata aumentando l’età di pensionamento, che peraltro è una tendenza già spontaneamente in atto” mentre l’aumento forzoso dell’età di pensionamento “presenta aspetti controversi”. Perché “imporre ai lavoratori anziani il prolungamento della loro attività fa aumentare il numero degli attivi potenziali, ma non implica la capacità del sistema produttivo di occuparli e comunque di aumentare il numero degli occupati. In presenza di un tasso di disoccupazione sostenuto e crescente che certifica le difficoltà del sistema produttivo di offrire posti di lavoro, l’aumento forzoso dell’età di pensionamento ostacolerebbe ulteriormente l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro. Andando contro le disponibilità degli interessati, si avrebbero dei pensionati in meno e dei giovani disoccupati in più con effetti negativi anche economici, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta”.

Coordinamento Nazionale Cgil
Corte dei conti 
 

 
 

 
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