Medici – Da gennaio quattromila medici precari a rischio. La denuncia della FPCGIL Medici

18 Luglio 2011

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Da gennaio quattromila medici precari a rischio. La denuncia della FPCGIL Medici

 
(Adn kronos Salute, 16 dicembre 2010). Circa quattromila medici precari del Servizio sanitario nazionale rischiano il mancato rinnovo dei contratti. Si tratta di circa la metà dei camici bianchi con contratti di lavoro a termine.
Su di loro potrebbe abbattersi uno degli effetti delle norme sul pubblico impiego contenute nella manovra della scorsa estate, provvedimento che oltre a bloccare i rinnovi contrattuali, e a congelare per tre anni le retribuzioni di tutti i dipendenti pubblici, richiede alle amministrazioni di dimezzare nel 2011 la spesa per tutte le forme di lavoro flessibile. Quindi, anche quella per i medici precari che prestano servizio nelle Asl e negli ospedali pubblici.
Secondo una indagine realizzata per l’Adnkronos Salute dalla Fp Cgil Medici, la riduzione del 50% della spesa potrebbe quindi significare posto a rischio per circa quattromila medici su un totale di circa ottomila, giovani ma non troppo (35-45 anni), nel 60% dei casi donne.
La difficoltà di identificare il numero esatto dei precari totali è dovuta al fatto che, come spiega il segretario nazionale della Fp Cgil Medici, Massimo Cozza, “non esistono dati certi a livello nazionale. Anche perché diversi precari sono invisibili in quanto svolgono solo saltuariamente prestazioni orarie o fanno capo a organizzazioni private, ma lavorano con contratti a prestazione negli ospedali pubblici. E’ il caso dei cosiddetti camici rossi, medici privati che prestano servizio in diversi pronti soccorso degli ospedali del Veneto“.
La stima complessiva è, appunto, di circa ottomila precari così suddivisi: circa 1.000 in Lombardia; 800 in Veneto; 150 in Liguria; 500 in Emilia Romagna; 500 in Toscana; 1.200 nel Lazio; 800 in Campania; 300 in Abruzzo; 200 in Umbria; 100 nelle Marche; 500 in Puglia; 200 in Calabria; 700 in Sicilia; qualche decina in Piemonte e in Basilicata, regioni dove i medici precari sono stati quasi tutti stabilizzati. “A questi – precisa Cozzavanno poi aggiunti i professionisti a tempo determinato che operano in Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Molise, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove però non siamo riusciti ad avere numeri affidabili“.
Gli 8 mila camici bianchi precari del Servizio sanitario nazionale stimati dal sindacato rappresentano circa l’8% dei medici che lavorano nella sanità pubblica.
In realtà il dato varia da regione a regione. E’ il caso, ad esempio, del Lazio, dove – secondo le tabelle 2007 del ministero della Salute, relative al personale medico che opera nelle strutture di ricovero pubbliche – si contano 10.658 professionisti. I 1.200 precari registrati dalla Cgil Medici rappresentano quindi circa il 12%. Stessa cosa in Abruzzo, dove su 2.287 medici, 300 risultano a ermine, quindi circa il 13%.
E se da una parte ci sono Rrgioni ormai avanti sulla strada della stabilizzazione – è il caso del Piemonte e della Basilicata che hanno praticamente azzerato il numero dei medici precari – di contro ci sono realtà in cui la situazione è assai pià critica. “E’ il caso delle Regioni alle prese con i piani di rientro, il Lazio su tutte“, spiega Cozza.
In altri termini, quindi, le regioni, presumibilmente, si muoveranno in ordine sparso: quelle con sufficienti soldi in cassa riusciranno forse a prorogare i contratti, le altre dovranno invece trovare il modo di far quadrare i conti. Per Cozza, però, serve un provvedimento di proroga dei contratti in scadenza. “Tutte le Regioni interessate – spiega – dovrebbero avviare un percorso di stabilizzazione. In caso di licenziamenti generalizzati – conclude – si potrebbero anche determinare le condizioni per azioni di denuncia per interruzione di pubblico servizio“.
Un appello viene anche da Fernando Schiraldi, presidente nazionale Simeu (Società italiana medicina emergenza urgenza): “E’ necessario trovare al più presto soluzioni per risolvere il problema dei medici precari del Servizio sanitario nazionale. Soprattutto quelli che lavorano nei pronto soccorso degli ospedali italiani. Il rischio che non vengano stabilizzati, o peggio che molti di loro vengano mandati a casa esiste. Bisogna intervenire affinché questo non avvenga, altrimenti a farne le spese sarà la qualità dell’offerta pubblica di sanita“.

 

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